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Sono trascorsi 200 anni da quel 7 maggio 1824, quando il Kärntnertortheater (Teatro di Porta Carinzia) di Vienna ospitò la prima esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven.
Nel 1870 il prestigioso teatro sarebbe stato demolito, ma quell’evento e quell’opera hanno lasciato un segno imperituro. Con la Nona Sinfonia Beethoven ha consegnato al mondo un Monumento musicale, “una delle composizioni più importanti e dirompenti nella storia della musica” (Harvey Sachs) che “celebra e riaccende la fiamma rivoluzionaria” (Maynard Solomon) per esprimere “una utopistica fede nell’umanità e nella capacità dell’Arte di redimere il mondo” (Lewis Lockwood). È un capolavoro che apre strade strumentali (e non solo) “talmente innovative che molti hanno fatto fatica a comprendere” (Giovanni Bietti), come l’inserimento di un Coro in una Sinfonia, con quell’“Ode alla gioia” musicata su testo del poeta tedesco Friedrich von Schiller e destinata a diventare Inno d’Europa.
Amata, discussa, criticata, la Nona Sinfonia è diventata patrimonio universale non solo per i suoi valori musicali, ma anche per la sua portata etica e filosofica e la sua immensa energia. È un viaggio in quattro movimenti dal buio alla luce, dalle forze oscure e contradittorie che combattono dentro gli individui e nelle collettività, all’aspirazione a superare il dolore e le lacerazioni in un abbraccio di fratellanza universale. Una tensione che eleva l’umanità verso l’alto, verso la “Schöner Götterfunken”, la “bella scintilla divina” della Gioia.
Con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia e in collaborazione con il Comune di Muggia, il 200° Anniversario della Nona Sinfonia offre un’occasione unica: per la prima volta la Casa Museo Biblioteca Beethoveniana di Muggia espone in uno spazio pubblico della propria città i tesori della Collezione Carrino, la più grande raccolta privata in Europa dedicata al Mito del Genio di Bonn.
Si propone un percorso – di raro valore documentario e di preziosa qualità artistica – che parte dalla Nona Sinfonia, per abbracciare il mondo di Beethoven da molteplici punti di vista, compresi sorprendenti legami con Trieste. Soprattutto si omaggia un Genio esemplare per il nostro Continente e l’intera Umanità. Per il valore della sua Opera titanica e rivoluzionaria.
Per il coraggio e la volontà dell’Uomo capace di creare la Musica più alta nella dolorosa condizione della sordità. Per l’energia che continua a irradiare da Ludwig van Beethoven: Mito sempre attuale, sorgente d’ispirazione artistica, luce di speranza.

7 maggio 1824. Il Kärntnertortheater di Vienna ospita un concerto monumentale, con tre opere di Beethoven. Dopo l’ouverture La consacrazione del Teatro composta nel 1822 per l’inaugurazione del rinnovato Teatro della Josefstadt di Vienna, sono in programma due prime molto attese del Maestro di Bonn, la cui produzione si è diradata negli ultimi anni. Si tratta della Nona Sinfonia, dedicata a Federico Guglielmo III di Prussia e della Missa Solemnis, dedicata all’arciduca Rodolfo d’Austria, di cui vengono eseguiti soltanto il Kyrie, il Credo e l’Agnus Dei (il Gloria e il Sanctus furono vietati a causa della censura).

La preparazione del concerto è stata sofferta e veloce: è durata solo un mese, con Beethoven che in più occasioni aveva espresso il suo scoraggiamento per l’esito finale.

Dirige l’orchestra Michael Umlauf (42 anni), affiancato da Ludwig van Beethoven (53), impossibilitato alla direzione solitaria per la sua salute precaria e la totale sordità. Soprano: Henriette Sontag (19 anni). Mezzosoprano: Caroline Unger (20). Tenore: Anton Haitzinger (28). Basso: Joseph Seipelt (36). Primo violino: Ignaz Schuppanzigh (47), grande amico “tuttofare” di Beethoven.

L’esecuzione non è del più alto livello, a causa del poco tempo destinato alle prove, ma la Nona Sinfonia e la Missa Solemnis sono accolte con calore ed entusiasmo dal pubblico, che sente la potenza dei due nuovi capolavori. Beethoven non può udire gli applausi, può solo vedere lo sventolio dei fazzoletti bianchi, a lui dedicato. Il Maestro ha cinquantatré anni, ma appare provato e invecchiato.  Lo confermerebbe anche il confronto tra l’iconico ritratto di un energico Beethoven realizzato da Joseph Karl Stieler nel 1820, e quello compiuto da Johann Stephan Decker proprio in quel maggio del 1824, quando il Kärntnertortheater di Vienna accolse quello che da molti è considerato il concerto più importante della storia.

La complessità della Nona Sinfonia si presta a infinite interpretazioni. E la sua lettura non può prescindere dalle motivazioni che hanno portato Beethoven a inserire nel quarto movimento l’“Ode alla gioia” di Friedrich Schiller. Il Compositore era sicuramente sensibile a quell’“Alle Menschen werden Brüder”, “Tutti gli uomini divengono fratelli”. Così Schiller aveva modificato la versione più politica della sua Ode, che originariamente recitava: “I mendicanti diventano fratelli dei principi”. Eco d’illuministici ideali di fratellanza, stemperati dopo il sangue della Rivoluzione Francese.
Nella Nona Sinfonia, tuttavia, a contare è soprattutto il percorso introspettivo di elevazione che porta l’individuo e l’umanità a emergere da un caos imperscrutabile e contradditorio (1° movimento), in un terreno di lotta drammatica (2° movimento), fino a conquistare un risveglio spirituale (3° movimento). L’approdo è una “Gioia” (4° movimento) raggiunta nell’ascolto di una voce interiore che spinge l’Umanità a guardare oltre la volta celeste: “Brüder, überm Sternenzelt / Muß ein lieber Vater wohnen.”

“Fratelli, sopra il cielo stellato / deve abitare un Padre affettuoso.”
La costruzione della Nona Sinfonia e la sua tensione “über Sternen”, “oltre le stelle”, lasciano intravedere la cultura eclettica di Beethoven. La conoscenza della filosofia di Kant, la cui massima “la legge morale dentro noi, il cielo stellato sopra di noi” era sottolineata in un quaderno di conversazione di Beethoven. La passione del Maestro per i nuovi sviluppi dell’astronomia, di cui conservava testi significativi. La sua Weltanschauung, visione del mondo, ispirata forse da un cosmoteismo che risaliva ai miti dell’antico Egitto, come suggerirebbero le massime egiziane trovate sulla sua scrivania.

La Nona Sinfonia, con le sue molteplici chiavi di lettura, è un’inesauribile fonte d’ispirazione per tutte le forme d’arte.
Agli inizi del XX secolo una vasta produzione grafica è dedicata al capolavoro di Beethoven, con opere che si distinguono per maestria tecnica e forza simbolica ed espressiva.
Emblematico, e a suo tempo scandaloso, Questo bacio al mondo intero del tedesco Alois Kolb, dove l’abbraccio universale della Nona Sinfonia è tradotto con forte dolcezza in un abbraccio erotico, mirabilmente fuso con la chioma di Beethoven, il cui volto è ispirato dalla maschera da vivo di Franz Klein. Nella sua Nona Sinfonia, lo stesso Kolb propone un’interpretazione visionaria dell’“Ode alla gioia”: “Lieti come i suoi astri volano / Nella splendida volta celeste, / Seguite, fratelli, la vostra rotta / Gioiosi come un eroe verso la vittoria.”
L’incisore austriaco Arthur Paunzen immagina un’Umanità spogliata dalle differenze sociali (e religiose) e unita lungo un picco roccioso nella fratellanza, che acclama il Padre affettuoso levando le mani al cielo. Il sole sorgente sul mare allude al Bene, alla Luce, alla Conoscenza.

Erhard Amadeus Dier, nelle due acqueforti Quaggiù e Lassù, coglie il trapasso dell’Umanità da una condizione di oscurità e terrore, allo slancio verso la Luce, accompagnata dalla musica celeste dell’arpa.
In un’opera degli anni Venti (forse di Georg Wimmer), una drammatica visione dell’Umanità anelante al bacio salvifico della Nona Sinfonia, sotto lo sguardo protettivo di Beethoven, trasfigurato nel cielo stellato.

Gli ex musicis di gusto Liberty di Franz Stassen, famoso incisore e illustratore tedesco, interpretano il tema dell’elevazione, ricorrendo ora all’immagine simbolica dell’arpa, lo strumento delle melodie celesti, ora al motivo astronomico del cielo stellato, trattenuto come un velo da una figura prometeica con le sembianze del Compositore.

L’iconografia di Beethoven, in particolare quella legata alla Nona Sinfonia, spesso mostra il volto del Compositore alleggiante nel cielo, come un creatore che irradia energia, in una sfera “sacra” che trascende i confini fisici, come appare nel dipinto di Fritz Kaiser, 1927, per il centenario della morte.
Beethoven stesso contribuisce ad alimentare questo mito. Così si racconta nella lettera del 13 febbraio 1814 all’amico Franz von Brunswick: “In quanto a me, santo Cielo, il mio regno è nell’aria (…) Le armonie turbinano come fa spesso il vento e spesso tutto turbina anche nella mia anima.”
Sono le parole di un’artista moderno, già romantico, ispirato dalla Natura nella sua dilatazione cosmica. Il costruttore di arpe e pianoforti Johann Andreas Stumpff, testimonia che Beethoven nel 1824 gli aveva così descritto il suo “Blick nach oben”, il suo “guardare in alto”:  

“Quando di notte contemplo la meraviglia del firmamento e della schiera di corpi luminosi che chiamiamo mondi e soli, che ruotano eternamente entro i suoi confini, il mio spirito si libra oltre queste stelle, a molti milioni di miglia di distanza, entro la fonte da cui scaturisce ogni opera creata e da cui tutta la nuova creazione deve ancora fluire.” 
Con la sua idealità, Beethoven fatica ad accettare i compromessi del mercato, come scrive in un’attualissima lettera del 15 gennaio 1801 all’editore Franz Anton Hoffmeister di Lipsia: “Vorrei che le cose in questo mondo andassero diversamente, dovrebbe esserci un solo Archivio centrale dell’Arte al mondo, dove l’Artista dovesse soltanto consegnare i suoi capolavori per prendersi quello di cui ha bisogno, così invece bisogna essere per metà commercianti e come ci si raccapezzi, Dio mio, questo lo chiamo ancora disgustoso.”

Nel febbraio 1824 la Nona Sinfonia è pronta in partitura. Sono già due anni che Beethoven la rielabora intensamente. Ne sono trascorsi almeno otto dai primi abbozzi. Ma testimonianze di un lavoro di Beethoven sulla “Ode alla gioia” di Schiller risalgono già al 1798 (Catalogo Biamonti, n.189). E, ancora prima, aveva scritto di queste intenzioni il giurista Bartholomäus Fischenich, amico di Schiller, in una lettera del 26 gennaio 1793 destinata alla figlia del poeta Charlotte von Schiller: “Vi allego una composizione del Feuerfarbe e amerei conoscere il vostro giudizio su di essa. È di un giovane del posto [Beethoven], il cui talento musicale è lodato da tutti e che l’Elettore ha ora inviato a Vienna da Haydn. Egli si occuperà anche dell’arrangiamento della Freude di Schiller, ossia di ogni strofa. Mi aspetto qualcosa di perfetto, perché, per quanto lo conosco, egli è del tutto in favore del grande e del sublime.”
Questa lunga genesi, sostanziata di cultura e meditazione, e la scrupolosità degli abbozzi che hanno accompagnato lo sviluppo dell’opera, “contraddicono il mito delle esplosioni casuali di ispirazione dell’artista. Beethoven incarna la verità secondo cui la grande arte è conquistata, non regalata.” (Robert Winter).

Pazienza, tenacia, profondità, in forme differenti ma con la stessa passione, sostengono anche le ricerche dei collezionisti, facendo di ogni vera Collezione un universo in espansione di prospettive e trame, con dettagli e curiosità che si continuano a scoprire giorno dopo giorno.

“Coltivare una Collezione significa, innanzitutto, esercitare l’arte dello sguardo: imparare a vedere, oltre l’abitudine meccanica del guardare.”
Sergio Carrino

150 pitture e sculture, 800 grafiche d’arte, 250 oggetti d’arte applicata, 4500 edizioni tra biblioteca musicale e biblioteca storico-bibliografica, 550 medaglie e monete, 450 ex libris2700 cartoline, 400 figurine, 1750 francobolli, pubblicità, Kitsch e vini, dolci e sapori.

La Collezione Famiglia Carrino ha sede nella Casa Museo Biblioteca Beethoveniana di Muggia: una decina di ambienti che accolgono 11.500 elementi in 12 Raccolte. È il frutto di una ricerca cominciata nel 1971, che ha impegnato inizialmente Sergio Carrino, poi la moglie Giuliana e il figlio Ludovico. Da questa passione ha preso forma la Collezione privata più grande d’Europa dedicata a Ludwig van Beethoven e al suo Mito, ospitata in una casa dove la vita scorre con la sua quotidianità.

Protagonista d’importanti Mostre beethoveniane e sulla musica a Bonn, Parigi, Baden, Rovigo, la Collezione della Famiglia Carrino è stata così definita oggi dal Direttore del Beethoven-Haus Bonn Malte Boecker: “senza dubbio la più interessante collezione di temi relativi alla ricezione e all’impatto di Beethoven dal XIX secolo fino a oggi.”

Michael Ladenburger, per trent’anni direttore del Beethoven-Haus Museum di Bonn così si espresse: “La Biblioteca Beethoveniana è una collezione unica e impareggiabile, un’opera d’arte totale. Nel suo orientamento e nelle sue dimensioni non ha eguali al mondo. Abbraccia il visitatore sia emotivamente sia esteticamente in un’atmosfera unica e coinvolgente.” 

Il concetto di imparare a vedere vale particolarmente per le collezioni delle medaglie e degli ex libris: con l’attenta osservazione si scoprono quei meravigliosi dettagli che rendono queste piccole opere d’arte dei preziosi capolavori.

FOCUS 1. MEDAGLIE
Medaglie, placche, monete sono talvolta ritenute forme d’arte “minori”, per la loro natura orafa e le loro finalità celebrative. Con oltre 550 esemplari a tema Beethoven, la Collezione Carrino sfata questo pregiudizio, valorizzando un mondo dove bellezza formale, tecnica scultorea, tecnologia dei materiali e finezza esecutiva si concentrano in un minuscolo spazio, dando vita ad autentici capolavori.
Tra gli esemplari che hanno maggiormente sfidato la nostra capacità di osservazione, abbiamo scelto la medaglia del 1908 in bronzo argentato di Alfred Rothberger (1837 – 1932).
Il dritto della medaglia ci presenta un potente ritratto di Beethoven. 
Il rovescio è un mare in tempesta sotto un cielo pesante di nubi. Un paesaggio in miniatura che ci trasmette le emozioni della musica di Beethoven e il carattere del Maestro. Solo dopo molte osservazioni, ci siamo accorti della presenza di un minuscolo fulmine che irrompe nel paesaggio e collega i due elementi. Lo stupore della scoperta per i collezionisti non finisce mai.   

FOCUS 2. EX LIBRIS
Con oltre 450 esemplari la raccolta di ex libris a tema Beethoven della Collezione Carrino è sicuramente la più importante al mondo. L’ex libris (dal latino “dai libri di”) da oltre cinquecento anni accompagna i volumi dei bibliofili: è un cartellino con il nome del titolare di una raccolta libraria, da incollare sulla seconda di copertina per attestarne la proprietà. All’inizio appannaggio di biblioteche nobiliari, monastiche, universitarie, è diventato una moda della borghesia nell’età dell’oro della grafica, a cavallo tra Ottocento e Novecento, portando a ingaggiare i migliori grafici dell’epoca per creare autentiche opere d’arte.
L’ex libris per la baronessa Caroline von Dalberg, incisione originale in rame, fu realizzato nel 1910 dall’artista austriaco Alfred Cossmann (1870–1951). È forse l’ex libris più bello mai realizzato su Beethoven. L’ingrandimento permette di apprezzare la finezza e la densità di tratti di questo capolavoro grafico in miniatura.

La Nona Sinfonia è una sfida tecnica e artistica, che costituisce un punto di arrivo per i più grandi direttori d’orchestra. Qui il manifesto originale di una sua rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano, il 28 maggio 1949, con la direzione di Wilhelm Furtwängler, forse il più importante direttore beethoveniano di tutti i tempi.

L’impatto e la popolarità della Nona Sinfonia, tuttavia, vanno oltre la musica: diventa persino colonna sonora – distorta e super accelerata – del film cult Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, nonché strumento terapeutico per il suo giovane protagonista “i cui interessi sono lo stupro, l’ultra-violenza e Beethoven”. Nel destino di un Mito va messa in conto anche la sua deformazione grottesca o umoristica. Esemplare la vignetta tragicomica di un giornale di Vienna che, in occasione del 100° Anniversario della Nona Sinfonia, immagina un malcapitato Beethoven alle prese con le novità del 1924, trovandosi per esempio disagiato in un café chantant o fumantino sul palcoscenico di un’operetta.

Tra 1807 e 1808 Beethoven compone la Sesta Sinfonia, nota come Pastorale.
Mai la Natura era entrata così profondamente nella musica, quasi ricreata dalla sensibilità del Compositore, come riflesso del divino, dell’ordine e della bellezza del cosmo.

Il dipinto del famoso pittore austriaco Rudolf Alfred Höger coglie Beethoven a passeggio lungo il ruscello nei pressi di Heiligenstadt, vicino a Vienna, proprio nei luoghi dove compose la Pastorale.Immerso nei suoi pensieri musicali, sembra non accorgersi di un crocchio di persone che vociferano di lui, della sua eccentricità, del suo parlare da solo a voce alta.

È una delle tante opere della Collezione Carrino che rappresentano Beethoven nelle sue famose passeggiate meditative nella campagna viennese, offrendo uno spaccato dell’arte europea tra XIX e XX secolo: dal Romanticismo all’Impressionismo, all’Espressionismo, all’Art Nouveau. Ora Beethoven appare quasi trasfigurato, mentre sfida il vento sferzante e gli elementi della natura, ora è colto con pudore, come nell’atmosferico quadro di Maximilian Spilhaczek, dove è intravisto presso la sua casa di campagna di Heiligenstadt, illuminata da un fascio di luce solare: una luce che muore alla sera e rinasce ancor più luminosa ogni mattino, rappresentazione di evoluzione spirituale e di eternità.    Per Beethoven la Natura è Madre anelata, è fonte di verità e di conoscenza, è depositaria dei valori morali dell’umanità. La sua Bellezza, che genera stupore, è sublimata dalla visione panteistica del Compositore, come testimoniano le sue parole riportate nel Manoscritto Fischoff: “Onnipotente Iddio, nella foresta! Io sono beato, felice nella foresta. Ogni albero parla di Te. Quale splendore, o Signore! In queste valli, nell’alto è la pace, la pace per servirLo.”

Il rapporto profondo, viscerale di Beethoven con la Natura ben si evince dal famoso aneddoto raccontato dal suo allievo e musicista Ferdinand Ries (Notizen, 1838, pag. 99):

“Durante una passeggiata nei boschi, ci eravamo smarriti, cosicché ritornammo a Döbling, dove allora Beethoven abitava, solo verso le 8 di sera. Egli per tutta la strada aveva mugugnato e talora urlato, passando continuamente dai suoni alti ai bassi. Alla mia domanda di cosa si trattasse rispose: «Mi è venuto in mente il tema per l’ultimo allegro della sonata» (opera 57, Appassionata). Tornato a casa corse al pianoforte senza neanche togliersi il cappello. Io rimasi in un angolo ed egli ben presto si dimenticò di me; tempestò almeno un’ora intorno al nuovo bel finale di questa sonata. Alla fine si alzò, restò stupito di vedermi ancora lì, e disse: «Oggi non posso darle lezione, debbo lavorare ancora.»”

Che la Natura sia una fonte d’ispirazione lo riconosce lo stesso Beethoven. Ecco la sua risposta al giovane musicista Louis Schlösser che gli chiedeva nel 1823 quale fosse il suo metodo compositivo:

“Da dove prendo le mie idee? (…) Potrei quasi afferrarle con le mani, all’aria aperta, in mezzo al bosco, durante una passeggiata, nel silenzio della notte, all’alba, suscitate da diversi stati d’animo: quelli che nel poeta si traducono in parole e in me in suoni che riecheggiano ruggiscono, turbinano, fino a che a un certo punto mi stanno dinanzi in forma di note.”

L’impatto di Beethoven – Uomo, Genio, Mito – sulla cultura e l’arte europea è dirompente. Il suo volto, tra i più iconici nella storia dell’umanità, è stato e continua a essere soggetto di una miriade di rappresentazioni.  A testimoniare questa prolificità, si propone una parata di busti beethoveniani che attraversano un secolo e sei Paesi d’Europa, dispiegando una “istruttiva” progressione di stili e di tecniche scultoree.

Il busto della seconda metà dell’Ottocento del tedesco Hugo Hagen rivela il classico gusto romantico ottocentesco dei salotti borghesi.

La scultura in ceramica policroma del 1897 del francese Albert Dominque Rosé evoca l’epoca delle grandi manifatture, come la storica casa d’arte Goldscheider di Vienna dove fu realizzato.

Il busto in gesso patinato dell’ungherese Ede Telcs, tra Liberty e Art Déco, riveste un grande interesse storico per essere stato esposto all’Esposizione Universale di Milano del 1906.

Il busto in bronzo della svizzera Adele Schallenmüller s’ispira al monumento di Peter Breuer a Bonn del 1910, poi chiamato “monumento dell’eternità”, dove Beethoven assume le sembianze di un Dio gigante.

Il busto in bronzo del prolifico artista croato Marijan Kocković è forse l’unica opera croata dedicata a Beethoven e si distingue per la sua scarna forza espressiva. È un lavoro in stile realista non tradizionale incentrato su forma geometrica e consistenza degli anni Settanta del Novecento.

Kocković fu l’artista preferito di Tito e negli anni Settanta realizzò anche una sua grande statua onoraria nell’isola di Brioni.

A rappresentare l’Italia, tra gli altri, un curioso oggetto di design artistico: la lampada Beethoven in plastica bianca opaca pressata, realizzata a Milano, quasi sicuramente nel 1970 per il Bicentenario della Nascita del Compositore. Sei punti di vista continentali sul volto di Beethoven, che mettono in luce lo sfaccettato potere di fascinazione dell’Autore dell’Inno d’Europa.

La Collezione Carrino annovera tra i suoi pezzi preziosi la maschera da vivo di Beethoven: uno dei primi esemplari in bronzo ricavati dal calco originale in gesso (ora perduto) del volto realizzato a Vienna da Franz Klein nel 1812.
A differenza delle altre copie di copie conosciute, questa maschera presenta dettagli di sensazionale realismo: si riconoscono ancora i segni del vaiolo che aveva colpito Beethoven a Bonn e quelli delle giunture dei vari pezzi con cui era stato ricomposto il calco originale, danneggiato per l’insofferenza del Compositore durante l’applicazione del gesso bagnato direttamente sul suo viso. 

È questo il vero volto di Beethoven destinato nel corso di due secoli a essere idealizzato dal suo Mito. Nella magnifica scultura in bronzo del belga Victor Rousseau, detto lo “scultore delle anime”, Apollo, Dio della Bellezza e della Musica, si rispecchia addirittura sul volto del Maestro, contemplando la sua famosa maschera. Beethoven ha varcato le soglie dell’Olimpo!

Con una luminosa interpretazione realizzata per la Mostra Le Mythe Beethoven di Parigi del 2016, apriamo una parata di maschere ispirate alla maschera da vivo di Franz Klein del 1812. È solo una piccola parte di una sterminata produzione dall’Ottocento fino a oggi. 

I primi esemplari sono improntati a realismo, in seguito sono adornati con una corona d’alloro che cinge nobilmente il capo. 

Il Novecento porta nuove libertà: si rompono gli schemi. Singolare la maschera dello scultore austriaco Franz Theodor Zelezny, del primo decennio del ‘900, che trasgredisce contemporaneamente due tabù dell’iconografia beethoveniana: il Maestro con una capigliatura ampia e molto decorativa sorride e ha anche gli occhi aperti.

In questa selezione, due maschere si distinguono per la loro forza espressiva: quella in terracotta dello scultore G. Muzzina del 1933, con il volto che esprime tormento e forza vitale e selvaggia, e quella in ceramica invetriata e dorata dello scultore Enrico Mazzolani e del ceramista Pietro Melandri del 1935. Due fori in corrispondenza degli occhi consentono di guardare “dentro”. Un’opera di vigoroso espressionismo che trasmette un senso di calma inquietante, quasi paurosa.  La maschera da vivo di Beethoven compare anche nella natura morta del pittore austriaco Johann (Jan) Havlicek “Trentan”.  E appare eterea e sacralizzata in un cielo tempestoso nel dipinto dell’artista Max Sieber del 1913, dove un uomo e una donna ignudi, che simboleggiano l’intera Umanità, si prostrano davanti alla rivelazione. 

Difficile comprendere la grandezza di Beethoven senza considerare il dramma della sua sordità. Beethoven non nasce sordo. Nasce con un “orecchio assoluto”. Ha un’intonazione perfetta. È un pianista virtuoso, con talento d’improvvisatore. È un intrattenitore, aperto alle relazioni sociali. 

La perdita dell’udito comincia a manifestarsi intorno ai 25 anni di età progredendo inesorabilmente. Tra il 6 e il 10 ottobre 1802 scrive il famoso “Testamento di Heiligenstadt” (scoperto solo dopo la morte) in cui esprime il suo stato interiore, spiegando come la sua misantropia sia dovuta alla sordità.

In una lettera al barone Ignaz von Gleichenstein del giugno 1810, manifesta stoicamente la 

necessità di dar vita a un mondo interiore che compensi il suo isolamento:

“Per te, povero Beethoven, dall’esterno non può venire alcuna felicità, tu devi crearti ogni cosa in te stesso… solo nel mondo ideale troverai degli amici.”

Nel 1813 comincia a usare il cornetto acustico, di cui mostriamo una replica esatta che proviene dalla Collezione della Beethoven Haus Bonn.

Nel 1818 si rassegna a comunicare con i famosi Quaderni di conversazione, invitando a scrivere chi dialoga con lui: da questi documenti il pensiero di Beethoven si deduce “in negativo”, attraverso le frasi degli interlocutori.  

La sua sventura interessa anche il teatro: un dramma interpretato da Sir Herbert Tree Beerbohm a Londra ha il suo culmine quando il Maestro si accorge di non sentire più gli strumenti dell’orchestra, come ben illustra la rivista The Graphic del 27 novembre 1909. Anche le orecchie di Beethoven diventano protagoniste di molta iconografia: ora sono mani di un demone crudele, ora sono spine, come nella magnifica copertina artistica del designer Gio Ponti per il libro La sordità di Beethoven dell’otologo Guglielmo Bilancioni, del 1921.

La Lettera-Testamento di Heiligenstadt è un documento autografo di Beethoven, scritto tra il 6 e il 10 ottobre 1802, idealmente indirizzato ai fratelli Carl e Johann, mai recapitato e trovato dopo la sua morte nella Schwarzspanierhaus, ultima dimora del Compositore. È la testimonianza più dolorosa della sua sordità che, secondo il musicologo come scrive William Kinderman, gravò sul lato gioioso e meno noto del suo carattere: “Sebbene le crisi personali e l’incurabile sordità abbiano oscurato la sua vita, la personalità resistente di Beethoven era caratterizzata dall’umorismo, dall’amore per i giochi di parole e dal piacere di accostare l’eccelso al comune.”

“O voi uomini che mi stimate o mi definite astioso, scontroso o addirittura misantropo, come mi fate torto! Voi non conoscete la causa segreta che mi fa apparire a voi così. Il mio cuore e il mio animo, fin dall’infanzia, erano inclini al delicato sentimento della benevolenza e sono sempre stato disposto a compiere azioni generose. Considerate però, che da sei anni mi ha colpito un grave malanno peggiorato per colpa di medici incompetenti (…)”

“Pur essendo dotato di un temperamento ardente, vivace, e anzi sensibile alle attrattive della società, sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. E se talvolta ho deciso di non dare peso alla mia infermità, ahimè, con quanta crudeltà sono stato allora ricacciato indietro dalla triste, rinnovata esperienza della debolezza del mio udito. Tuttavia non mi riusciva di dire alla gente: Parlate più forte, gridate, perché sono sordo.”  “Raccomandate ai vostri figli di essere virtuosi; perché soltanto la virtù può rendere felici, non certo il denaro. Parlo per esperienza. È stata la virtù che mi ha sostenuto nella sofferenza. Io debbo ad essa, oltre che alla mia arte, se non ho messo fine alla mia vita con un suicidio (…)”

L’opera simbolo della Biblioteca Beethoveniana è il busto in bronzo di Beethoven di Marcello Mascherini (Udine, 1906 – Padova, 1983). Friulano vissuto a Trieste dall’età di 13 anni, triestino d’adozione, Marcello Mascherini è stato scultore e scenografo di fama internazionale. Durante la sua lunga carriera gli furono riconosciuti numerosi premi e l’anno prima della morte ottenne il San Giusto d’oro della Città di Trieste.

Il busto fu presentato nel 1925 alla Seconda Esposizione Biennale del Circolo Artistico di Trieste. In questo capolavoro giovanile Mascherini ci presenta un volto dai tratti fortemente marcati con un’ampia fronte scoperta, esaltata dalle pronunciate arcate sopraccigliari, che esprime potenza e forza di volontà. La parte inferiore del viso con la bocca contratta e le mascelle serrate sono ispirate dalla maschera da vivo di Franz Klein del 1812. La torsione dei muscoli del collo largo e possente ci trasmette l’immagine fiera di un indomito combattente. L’assenza totale degli occhi è una geniale rappresentazione della sordità di Beethoven. L’artista triestino nella palese monumentalità di questa sua opera ci offre un incontro profondo con la dignità del dolore, che fa parte della vita.

In uno dei Quaderni di conversazione trapela il desiderio del Compositore buongustaio di “fare una volta o l’altra una gita a Trieste e Venezia per gustare le ostriche.” In un altronon manca un apprezzamento per il suo vino preferito: il friulano Picolit.
In realtà Beethoven non visitò mai Trieste. Né vide mai il nostro mare.

Trieste, tuttavia, ha una profonda relazione con la vita di Beethoven. Nel palazzo della Dogana Vecchia, demolito nel 1840 per far posto al Tergesteo, abitò Giulietta Guicciardi tra il 1796 e il 1800, quando il padre, conte Francesco Guicciardi di Cervarolo, era occupato a Trieste con incarichi governativi. Giunta sedicenne a Vienna nel 1800, la triestina “damigella contessa” Giulietta diventò allieva di Beethoven. A lei il Compositore dedicò la famosa Sonata poi chiamata “Al chiaro di luna”. Il Compositore la descrisse all’amico Wegeler come “una incantevole fanciulla che mi ama e che io amo”, ma con l’amara coscienza di un amore impossibile, per le allora invalicabili differenze di ceto sociale. 

Alla fine delle Rive, Villa Economo Gossleth ci ricorda un’altra figura beethoveniana: Gerhard von Breuning, giovanissimo amico del Compositore, a lui vicino nei suoi ultimi giorni, e a cui dedicò il suo celebre libro di ricordi.

Diventato medico, giunse a Trieste per la sua fama di specialista nella cura degli arti. Conobbe e sposò Giuseppina, figlia dell’industriale triestino Franz Gossleth, diventando così frequentatore della neoclassica dimora di Largo Promontorio e di Trieste (dalle ricerche storiche di Carlo de Incontrera).   Ma la figura più straordinaria che collega Beethoven a Trieste è quella del suo biografo più famoso: l’americano Alexander Wheelock Thayer.

Giornalista, musicologo, diplomatico, Alexander Wheelock Thayer (South Natick, Massachusetts, 1817 – Trieste, 1897), è l’autore di Ludwig van Beethoven’s Leben, biografia in cinque volumi, di cui gli ultimi due volumi usciti postumi, rielaborati dai tedeschi Hermann Deiters e Hugo Riemann sui suoi appunti. Per gli straordinari livelli di ricerca e accuratezza, è considerata un’opera fondamentale e la più attendibile sulla vita del Compositore tedesco.

La stesura di questa biografia monumentale avvenne in gran parte a Trieste, dove Thayer nel 1865 fu eletto console degli Stati Uniti d’America per il Porto di Trieste e tutti gli altri porti dell’Adriatico appartenenti all’Impero austriaco, compresi i porti del Regno Lombardo-Veneto, come testimoniato dal fac-simile della nomina.

A Trieste Thayer rimase per più di trent’anni fino alla sua morte, risiedendo a Casa Ralli in Riva Grumula. Nel clima favorevole della città, profondamente collegata a Vienna e alla Mitteleuropa, poté attendere con volontà beethoveniana al suo imponente lavoro certosino.

La sua tomba, riscoperta grazie alle appassionate ricerche dello storico triestino Oscar de Incontrera, si trova nel Cimitero Evangelico di Trieste. Su questa scia, sono usciti nel 1986 il fondamentale saggio Beethoven a Trieste del musicologo Carlo de Incontrera, e di recente il grande contributo su Thayer dello studioso Luigi Bellofatto. Tra i documenti qui esposti figura una lettera originale di Alexander Wheelock Thayer a Hermann Deiters, messa gentilmente a disposizione dal Beethoven-Haus Museum di Bonn: Thayer racconta i dettagli della sua vita a Deiters, cui è stato chiesto di scrivere l’articolo “Thayer” in Meyers Konversationslexicon, una delle enciclopedie più importanti del XIX secolo.

Beethoven ha avuto e continua ad avere grandi influenze sul mondo artistico triestino, regionale e mitteleuropeo legato alla città.

Giuseppe Pogna, pittore vedutista triestino, negli anni Ottanta dell’Ottocento dedica a Beethoven un bel ritratto di gusto romantico, opera sconosciuta e ora per la prima volta presentata in pubblico. Un altro ritratto di Pogna è quello di Giuseppe Garibaldi del 1893 custodito al Museo del Risorgimento di Trieste.

Lo scultore austriaco Franz Seifert, attivo a Vienna e a Trieste è l’autore della scultura in bronzo col volto di Beethoven in altorilievo su un cippo roccioso sormontato da Euterpe, la Musa della musica che, scoprendo la sua bellezza, simboleggia la sublime arte del Maestro.             Seifert è anche l’autore del grande monumento a Sissi di piazza Libertà a Trieste, inaugurato nel 1912.

Di misteriosa interpretazione il dipinto del 1912 di Gottlieb Theodor von Kempf, artista austriaco pluripremiato e con opere oggi esposte al Wien Museum e al British Museum.

Kempf ritrae un’affascinante figura femminile (la musa del pittore) accanto al busto di Beethoven modellato nella roccia, mentre gli rende un omaggio floreale. Sullo sfondo il mare e le nubi bianche e oscure esprimono la potenza della natura nella musica di Beethoven. Il paesaggio ci fa pensare alla costa rocciosa di Duino che il pittore molto probabilmente ha conosciuto nei suoi viaggi in compagnia del pittore Josef Maria Auchentaller, habitué di Grado. Da Duino a Muggia il passo è breve. Il pittore e grafico goriziano Franco Dugo ci presenta un moderno Beethoven che posa finalmente sulle rive dell’Adriatico. Sullo sfondo è riconoscibile il bianco obelisco di Punta Sottile della bella costa muggesana. È un’opera del 2021 in omaggio alla Casa Museo Biblioteca Beethoveniana.

Il dipinto di W. Steffens del 1912, con il mare mosso e le nubi grigie foriere di tempesta, sembra preludere alla tragica e misteriosa storia del veliero “Beethoven”. Costruito in Inghilterra nel 1904, acquistato da armatori tedeschi, venduto nel 1910 ad armatori norvegesi, arrivato infine a Trieste nel 1913, fu acquistato dall’Istituto Nautico e adattato anche come nave scuola.

Al suo primo viaggio dall’Australia al Cile il “Beethoven” scomparve nell’Oceano Pacifico nei primi mesi del 1914, portando con sé molti giovani cadetti triestini, istriani, friulani e austriaci. Per una singolare circostanza – o come segno del destino – nel 2014, a cento anni esatti dalla sciagura, dopo varie ricerche siamo riusciti a trovare l’unico dipinto originale a olio che raffigura il protagonista di questa vicenda che ha lasciato un segno indelebile nella storia e nella memoria della nostra città.

Francobolli, cartoline, figurine che raccontano il Compositore agli adulti e ai bambini, manifesti che parlano di Beethoven (o attraverso Beethoven) con il sorriso, “icone” che venerano il Maestro. Beethoven è un fenomeno popolare e mediatico, amato dalla gente comune.

Lo dicono i numeri: nella Collezione di filatelia sono presenti tutti i francobolli e gli annulli filatelici ecc. su Beethoven dal 1889 a oggi, emessi da oltre 70 Paesi del mondo. Manca però l’Italia perché curiosamente al Compositore non è mai stato dedicato un francobollo!

La Collezione comprende anche più di 2500 cartoline, perlopiù della cosiddetta “Età dell’oro della Cartolina”: le famose “Gruß Aus” (“Saluti da…”), realizzate dal 1890 fino all’inizio della Grande Guerra e stampate in cromolitografia, una tecnica che prevedeva fino a 12 passaggi di colore! Molte sono viaggiate e aprono teneri scorci di amicizie e amori.

E poi le variopinte figurine, che dalla fine dell’Ottocento ad oggi hanno scatenato una vera e propria mania di collezionismo tra i ragazzi e tra gli adulti, portando anche curiosità e cultura.

Ma Beethoven è anche un grande fenomeno culturale, che ispira scrittori, studiosi, persino scienziati, e naturalmente musicisti. La Biblioteca della Collezione Carrino abbraccia più di duecento anni di pubblicazioni su Beethoven edite dalla fine del Settecento a oggi, comprendendo oltre 4500 elementi tra volumi dedicati alla vita e alle opere, partiture, saggistica varia, edizioni in facsimile, riviste, periodici, giornali… da ogni parte del mondo.

Ieri come oggi, il termometro della popolarità è lo sfruttamento commerciale.

Proprio in questa estate le note della Quinta Sinfonia accompagnano gli spot di una famosa marca dolciaria italiana. Sovente è Beethoven in persona, resuscitato come una rockstar romantica, a fare da testimonial dei più svariati prodotti: pianoforti, hi-fi, apparecchi acustici, whisky, detersivi, abbigliamento, viaggi aerei… Una nota compagnia austriaca ha tramutato il famoso “Alle Menschen werden Brüder”, “Tutti gli uomini divengono fratelli”, nella headline “Alle Menschen werden Flieger”, “Tutti gli uomini divengono aviatori.”

Il Compositore veste anche i prodotti o diventa lui stesso prodotto: compare su confezioni di dolciumi, bicchieri, boccali da birra e su tante etichette di vini, come documenta la fornita cantina della Collezione Carrino. Può anche trasformarsi in souvenir: pipe, cavatappi, portaceneri, cravatte di seta o strampalati gadget Kitsch come un Beethoven fumatore o un Beethoven acrobata o una beethoveniana bottiglia musicale. È l’apoteosi del Mito!

Nel Novecento la musica e la figura di Beethoven sono state strumentalizzate anche ai fini politici e ideologici sia dalle democrazie sia dalle dittature.

Beethoven è bipartisan: è il musicista più amato da Lenin, omaggiato da Hitler, piace anche a Mussolini. Ma è scomodato in Francia (insieme con Goethe) per accusare il Führer delle “malvagità” contro il suo stesso Popolo. È sdoganato definitivamente in Cina: a Pechino il 26 marzo 1977 viene trasmessa alla radio e alla televisione un’esecuzione cinese della Quinta Sinfonia. La Nona Sinfonia ha rappresentato la speranza di libertà dei popoli come efficacemente mostrato in un recente documentario di Kerry Candaele: nel 1989 sono gli studenti in Piazza Tienanmen a farla risuonare; in Germania, è il simbolo della riunificazione tramite un grande concerto diretto da Bernstein alla Porta di Brandeburgo; in Cile, l’Inno alla Gioia è il simbolo cantato dalle donne contro il regime di Pinochet.

La V” della “Victory” di Winston Churchill è assimilata alla “V” della Quinta Sinfonia, che diventa così un inno della resistenza all’invasione nazista.  Tre decenni dopo, il monumento del Compositore a Bonn, rimasto miracolosamente illeso durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, diventerà baluardo della protesta giovanile pro Viet Cong. Nel corso del Novecento, Beethoven accompagna la coscienza o il presagio dei momenti più cupi. Verso la fine del 1918, nella rivista satirica Simplicissum il suo volto grava rattristato sulla desolazione lasciata sui campi di battaglia da una guerra appena finita. In un manifesto del 1938 della Settimana beethoveniana di Baden, il Maestro procede pensoso in un teso crepuscolo: l’Austria è stata da poco occupata dai nazisti. In Ode of Sadness, “Ode alla Tristezza”, cartolina delle Notti musicali a Sarajevo, aleggia severo sulle rovine della città.

Nel 1903 viene pubblicato a Parigi Beethoven, l’appassionato libro di Romain Rolland destinato ad un successo planetario. Di potente attualità, in sintonia con il messaggio dell’opera grafica di Franz Plany, è il suo folgorante inizio:

“Intorno a noi l’aria è afosa. La vecchia Europa si intorpidisce in un’atmosfera pesante e viziata. Un materialismo senza grandezza grava sul pensiero e intralcia l’azione dei governi e degli individui: il mondo muore d’asfissia nel suo egoismo prudente e vile, il mondo soffoca. Riapriamo dunque le finestre! Facciamo entrare l’aria libera! Respiriamo il soffio degli eroi!”

Nell’incisione di Franz Plany, del 1944, appare un Beethoven ispirato che giganteggia nel cielo tra gli elementi della natura, sopra le fiamme dei disastri della guerra. Il bacio appassionato dei due amanti e il bambino elevato verso il cielo offrono un’immagine di amore e di speranza nel futuro. Questo è il grande messaggio che Beethoven ci ha lasciato con il suo capolavoro immortale: la Nona Sinfonia.


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It has been 200 years since that 7 March 1824, when the Kärntnertortheater (Carinthian Gate Theatre) in Vienna hosted the first performance of Beethoven’s Ninth Symphony.
The prestigious theatre was demolished in 1870, but that event and the symphony left an enduring mark.

With its Ninth Symphony, Beethoven delivered to the world a musical Monument, “one of the most precedent-shattering and influential compositions in the history of music” (Harvey Sachs) that “celebrates and rekindles the revolutionary flame” (Maynard Solomon) to express “his Utopian faith in mankind and in the power of Art to redeem the world” (Lewis Lockwood). It is a masterpiece that opens musical pathways “so innovative that many have struggled to understand them” (Giovanni Bietti), such as the inclusion of a Choir in a Symphony: the “Ode to Joy”, set to music on the text by the German poet Friedrich von Schiller, and destined to become the European Anthem.

Loved, debated, criticised, the Ninth Symphony became a universal treasure, not only because of its musical value, but also because of its ethical and philosophical significance and immense energy. It is a journey in four movements from the shadows to the light, from the dark, conflicting forces that struggle within individuals and communities to the aspiration to overcome pain and lacerations in an embrace of universal brotherhood. A tension that lifts humanity upwards towards the schöner Götterfunken, the “beautiful divine spark” of joy.

With the support of Regione Friuli Venezia Giulia and a partnership with the Municipality of Muggia, the 200th anniversary of the Ninth Symphony offers a unique opportunity. For the first time the Biblioteca Beethoveniana House Museum in Muggia is opening to the public the treasures of the Carrino Collection, the largest private collection in Europe dedicated to the Myth of the German musical genius.

The Collection is a unique assortment possessing documentary value and artistic quality that takes visitors on a journey beginning with the Ninth Symphony and embraces many aspects of Beethoven’s world, including some surprising ties with Trieste. Above all, it is a tribute to a genius that is a shining light for our continent and the whole of humanity. For the value of his titanic, revolutionary work. For the courage and determination of a man capable of creating the most sublime music while suffering the torment of deafness. For the energy that continues to emanate from Ludwig van Beethoven: eternal legend, source of artistic inspiration and light of hope.

7 May 1824. A monumental concert took place at the Kärntnertortheater in Vienna, with three works by Beethoven. After the overture The Consecration of the House composed in 1822 for the inauguration of the renovated Josefstadt theatre in Vienna, on the programme were two long-awaited first performances by the Bonn maestro, who had composed less in recent years. They were the Ninth Symphony, dedicated to Frederick William III of Prussia, and the Missa Solemnis, dedicated to Archduke Rudolf of Austria. Of the latter work, only the Kyrie, the Credo and the Agnus Dei were performed. The Gloria and the Sanctus were banned due to censorship.

The preparations for the concert were arduous and fast, lasting only one month, with Beethoven expressing pessimism on several occasions about the final outcome.

Directing the orchestra was Michael Umlauf (42 years old). By his side was Ludwig van Beethoven (53), unable to direct by himself, owing to his precarious health and total deafness. Soprano: Henriette Sontag (19). Mezzosoprano: Caroline Unger (20). Tenor: Anton Haitzinger (28). Bass: Joseph Seipelt (36). First violin: Ignaz Schuppanzigh (47), “all-rounder” and great friend of Beethoven’s.

The execution was not of the highest standard, owing to the short rehearsal time, but the audience welcomed the Ninth Symphony and the Missa Solemnis warmly and enthusiastically and felt the power of the two new masterpieces. Beethoven could no longer hear the applause; he could only see the flapping of white handkerchiefs in his honour. The maestro was fifty-three years old but looked rather exhausted and old.  It is illustrative to compare the iconic portrait of an energetic Beethoven by Joseph Karl Stieler in 1820 and the one by Johann Stephan Decker produced that very May 1824, when the Kärntnertortheater in Vienna hosted what many consider to be the most important concert in history.

The complexity of the Ninth Symphony predisposes it to myriad interpretations, none of which can overlook the reasons that led Beethoven to include Friedrich Schiller’s Ode to Joy in the fourth movement. The composer must certainly have been sympathetic to that Alle Menschen werden Brüder, “All men shall be brothers”. This line had been actually changed by Schiller himself, from an earlier, and more political, version: “Beggars shall become brothers to princes”. We can feel echoes of the Enlightenment ideals of brotherhood, which had been dampened by the blood spill of the French Revolution.

Nevertheless, what counts above all in the Ninth Symphony is the introspective journey of elevation that leads the individual and humanity to emerge from the inscrutable, contradictory chaos (1st movement), into an arena of dramatic struggle (2nd movement), and then on to attain a spiritual awakening (3rd movement). The final destination is a “Joy” (4th movement) achieved by listening to an inner voice that drives humanity to look beyond the sky: “Brüder, überm Sternenzelt / Muß ein lieber Vater wohnen.”

“Brothers, above the starry vault / must dwell a loving Father”.

The construction of the Ninth Symphony and its reaching über Sternen, “beyond the stars”, are an indication of Beethoven’s eclectic culture. Evidence of his familiarity with Kant’s philosophy, with its maxim “the starry heaven above me, the moral law within me”, is found in one of his conversation notebooks. He also had a passion for new developments in astronomy, on which he kept important tomes. His Weltanschauung, or vision of the world, was perhaps inspired by a Cosmotheism dating back to the myths of Ancient Egypt, as would suggest the Egyptian maxims found on his desk.

The Ninth Symphony is an inexhaustible source of inspiration for all forms of art, open to numerous modes of interpretation.
At the start of the 20th century, vast amounts of graphic art were devoted to Beethoven’s masterpiece, including works that stand out for their technical mastery and symbolic and expressive energy.

One emblematic yet scandalous work was the Kiss to the whole world by German artist Alois Kolb, which portrays the universal embrace of the Ninth Symphony as a powerfully sweet, erotic embrace, wonderfully fused with Beethoven’s hair, atop his face inspired by Franz Klein’s life mask of the composer. In his Ninth Symphony, Kolb provides his own visionary interpretation of the Ode to Joy: “As joyfully as His suns fly / Through heaven’s grand plan, / Follow your course, brothers, / As joyful as a hero to victory.”

The Austrian engraver Arthur Paunzen imagined humanity stripped of all social (and religious) differences, standing united in fellowship on a rocky peak, with arms aloft to the sky in praise of the Loving Father. The sun rising over the sea is an allusion to Good, Light and Knowledge.

In his two etchings Quaggiù (Down here) and Lassù (Up there), Erhard Amadeus Dier captures humanity’s transition from a condition of obscurity and terror to its reaching up towards the light, accompanied by the heavenly music of the harp.
In a piece from the 1920s (perhaps by Georg Wimmer), we have a dramatic vision of humanity longing for the salvific kiss of the Ninth Symphony, beneath Beethoven’s protective gaze, transfigured by the starry sky. The Art Nouveau musical-themed bookplates (ex-libris, ex-musicis) by the famous German engraver and illustrator Franz Stassen interpret the theme of elevation, by alternating the symbolic image of the harp, the instrument of celestial music, with the astronomical motif of the starry sky, held up like a veil by a Prometheus-like figure with the composer’s likeness.

Beethoven iconography, especially when related to the Ninth Symphony, often presents the composer’s face hovering in the sky; a creator emanating energy, in a “sacred” sphere that transcends physical boundaries, as in the painting by Fritz Kaiser, 1927, for the centenary of the maestro’s death.

Beethoven himself helped fuel this myth. In a letter to his friend Franz von Brunswick dated 13 February 1814 he revealed: “As for me, good Heavens, my kingdom is in the air […] The harmonies whirl as so often does the wind; likewise, often everything whirls within my soul.”

These are the words of a modern, already Romantic, artist, inspired by the cosmic dimension of Nature. Maker of harps and pianos, Johann Andreas Stumpff reported how, in 1824, Beethoven had described his Blick nach oben, his “upward gaze”: 

“When at night I contemplate in wonderment the firmament and the host of luminous bodies that we call worlds and suns, revolving eternally within its boundaries, my spirit soars beyond these stars, many millions of miles away, to the source from which all created works spring and from which all new creation is yet to flow.” 

Beethoven’s idealism meant that he struggled to accept the compromises of the market, as he wrote

in a letter to his publisher Franz Anton Hoffmeister of Leipzig on 15 January 1801, which seems topical to us today: “I wish things were different in this world. There ought to be only one Central archive of Art in the world, where the Artist would only bring his artworks in order to take what he needs. Instead, one has to be half businessman, and how can one be reconciled to that. My God, I call that disgraceful.”

The score for the Ninth Symphony was ready in February 1824. Beethoven had already been revising it intensely for two years. At least eight years had gone by since the first draft. But reports of Beethoven’s work on Schiller’s “Ode to Joy” date back to 1798 (Biamonti catalogue, no. 189). Even before that, Schiller’s friend, the jurist Bartholomäus Fischenich, had written about his intentions in a letter to the poet’s daughter, Charlotte von Schiller, dated 26 January 1793: “I am enclosing a composition of Feuerfarbe and I would like your opinion of it. It is by a young local man [Beethoven], whose musical talent is praised by all and whom the Elector has now sent to Haydn in Vienna. He will also arrange every stanza of Schiller’s Freude. I expect something perfect, because, from what I know of him, he is all in favour of the great and the sublime.”
This long genesis, supported by culture and meditation, and the scrupulousness of the drafts that accompanied the development of the work “contradict the myth of random explosions of artistic inspiration. Beethoven embodies the truth that great art is earned, not given” (Robert Winter). Patience, tenacity, profundity, in different forms but with the same passion, also steer the research of collectors and make every true collection an expanding universe of perspectives and connections, with details and curiosities that continue to be discovered every day.

“Cultivating a collection first of all means practising the art of the gaze: learning to see, beyond the mechanical habit of looking.”
Sergio Carrino

150 paintings and sculptures, 800 print artworks, 250 items of applied art, 4500 publications in the music library and the historical and bibliographical library, 550 medals and coins, 450 bookplates2700 postcards, 400 figurines, 1750 stamps, advertisements, Kitsch and wines, sweets and savouries.

The Carrino Family Collection is held at the Biblioteca Beethoveniana House Museum in Muggia and consists of a total of 11,500 pieces in 12 Subcollections in about ten rooms. It is the result of research begun in 1971, initially involving Sergio Carrino, then later his wife Giuliana and their son Ludovico. This passion has produced Europe’s largest private collection dedicated to Ludwig van Beethoven and his Myth, held in a house where everyday life flows.

The Collection has starred in important exhibitions dedicated to Beethoven and music in Bonn, Paris, Baden and Rovigo. Malte Boecker, director of the Beethoven-Haus Bonn describes it this way: “arguably the most interesting collection of items related to the reception and impact of Beethoven from the 19th century until now .”

Michael Ladenburger, who was director of the Beethoven-Haus Museum in Bonn for thirty years, says this of it: “The Biblioteca Beethoveniana is a unique, unparalleled collection, a total work of art. In its orientation and size it has now no equals in the world; it has a unique and engaging atmosphere that embraces the visitor aesthetically and emotionally.”  The concept of learning to see particularly applies to the collections of medals and bookplates. By looking carefully, it is possible to discover the wonderful details that make these small works of art true masterpieces.

FOCUS 1. MEDALS
Medals, plaques, coins are sometimes considered “minor” forms of art, because they are metal-based and celebratory. With more than 550 Beethoven-themed pieces, the Carrino Collection debunks this prejudice, by showcasing a world where formal beauty, sculptural technique, materials technology and finesse are condensed into a tiny space, giving rise to genuine masterpieces.

Of the pieces that have most challenged our ability to observe, we have chosen the 1908 silver-plated medal by Alfred Rothberger (1837 – 1932).

The obverse of the medal presents a powerful portrait of Beethoven. 

On the reverse appears a stormy sea beneath a sky covered with heavy clouds. A miniature landscape that conveys the emotions of Beethoven’s music and his character. Only after observing it many times did we notice a tiny bolt of lightning flashing across the landscape and connecting these two elements. For collectors, the wonder of discovery never ceases.  

FOCUS 2. BOOKPLATES (EX-LIBRIS)
With over 450 pieces, the Beethoven-themed bookplates in the Carrino Collection is certainly the most important in the world. For more than 500 years, bookplates – also known as ex libris, the Latin for “from the books of” – have bedecked the volumes of bibliophiles. These small cards bear the name of the owner of the book collection and can be stuck to the inside front cover of a book. Originally the preserve of libraries of the nobility, monasteries and universities, they came into vogue among the bourgeoisie during the golden age of graphic art in the late 19th and early 20th centuries. The best graphic artists of the time were commissioned to produce what were genuine works of art. The bookplate for Baroness Caroline von Dalberg, an original copper engraving, was made in 1910 by the Austrian artist Alfred Cossmann (1870–1951). It is possibly the finest Beethoven-themed bookplate ever to be made. When it is enlarged, you can really appreciate the delicacy and density of the lines in this miniature graphic art masterpiece.

The Ninth Symphony is a technical and artistic challenge, representing the holy grail for the greatest conductors. This is an original poster for a performance at La Scala theatre in Milan on 28 May 1949, conducted by Wilhelm Furtwängler, considered among the most important conductors of Beethoven of all time. Yet, the impact and the popularity of the Ninth Symphony go beyond music. It even became the soundtrack – albeit distorted and rushed – of the cult film A Clockwork Orange directed by Stanley Kubrick and a therapeutic tool for its young protagonist “whose principal interests are rape, ultra-violence and Beethoven”. Inevitably, a Myth is also subject to grotesque and humorous distortion. An example of that is the tragicomic cartoon from a Vienna newspaper published for the 100th anniversary of the Ninth Symphony. In it, Beethoven is grappling with all that’s new in 1924. For example, he’s having a hard time in a café-chantant and is irritated on stage during an operetta.

In 1807 and 1808, Beethoven composed the Sixth Symphony, known as the Pastoral Symphony.
Never before had Nature gone so deep into music, as if recreated from the composer’s sensitivity, as a reflection of the divine, the order and the beauty of the cosmos.

The painting by the Austrian artist Rudolf Alfred Höger captures Beethoven walking along a stream in Heiligenstadt, near Vienna, right where he composed the Pastoral Symphony.Immersed in his musical thoughts, he appears not to notice a cluster of people chattering about him, his eccentricity, and the way he talked to himself.

It is one of the many works in the Carrino Collection that shows Beethoven on his famous meditative walks in the Viennese countryside and offers up a cross-glimpse of European art in the 19th and 20th centuries: from Romanticism, to Impressionism, Expressionism, and Art Nouveau. Now Beethoven seems almost transfigured, as he challenges the driving wind and the elements; now his shyness is captured, as in the painting by Maximilian Spilhaczek. In this atmospheric work, he is seen at his country house in Heiligenstadt, illuminated by a beam of sunlight: a light that dies in the evening then rising even brighter every morning, representing spiritual evolution and eternity.    For Beethoven, Nature is the mother he longed for; it is the source of truth and knowledge; it is the guardian of humanity’s moral values. Its beauty, which generates wonder, is sublimated by the composer’s pantheist vision, as indicated in his words in the Fischoff Manuscript: “Almighty God, in the woods! Blessed am I, happy in the woods. Every tree speaks through you. What glory, O Lord! In these valleys, on high, there is peace, the peace to serve Him.”

Beethoven’s profound, visceral relationship with Nature is illustrated in the famous anecdote told by his pupil, the musician Ferdinand Ries (Notizen, 1838, p. 99):

“During a walk in the woods, we got lost, so we only returned to Döbling, where Beethoven lived at the time, at eight in the evening. For the entire journey, he had been whining, and sometimes howling, back and forth between high notes and low notes. When I asked what it was about, he replied, ‘A theme for the last allegro in the sonata has come to me’ (op. 57, Appassionata). When we got back, he ran to the piano without even taking off his hat. I sat in a corner and he soon forgot I was there. For at least an hour, he stormed with the new beautiful finale of this sonata. Eventually he got up, was amazed to find I was still there, and said, ‘I cannot give you a lesson today, I have more work to do.’”

Beethoven himself acknowledges Nature as a source of inspiration. This is what he said to the young musician Louis Schlösser, when asked in 1823 what his composition method was: “Where do my ideas come from? […] I could almost grasp them with my hands, from the open air, in the middle of the woods, while out on a walk, in the silence of the night, at dawn, stirred up by different states of my mind. They are what are translated into words for the poet, and for me into sounds that echo, roar, whirl, until at some point they are there before me in the form of notes.”

The impact of Beethoven – the Man, the Genius, the Myth – on European art and culture is monumental. His is one of the most iconic faces in the history of humanity, one that has been and continues to be represented in myriad ways.  Illustrating the pervasiveness of his image is an array of Beethoven busts displaying an “instructive” progression of sculptural styles and techniques across a century and six European countries.

The bust from the second half of the 19th century by German sculptor Hugo Hagen reveals the classic 19th-century Romantic tastes of bourgeois salons.

The 1897 polychrome ceramic sculpture by Frenchman Albert Rosé evokes the age of great workshops, like the historic Goldscheider factory in Vienna where it was produced.

The patinated plaster bust by the Hungarian Ede Telcs, in a style somewhere between Art Deco and Art Nouveau, holds great historic interest as it was exhibited at the Milan International Exposition in 1906.

The bronze bust by Swiss sculptor Adele Schallenmüller is inspired by Peter Breuer’s 1910 monument in Bonn, later called “monument to eternity”, where Beethoven appears as a giant god.

The bronze bust by prolific Croatian artist Marijan Kocković is the only Croatian work dedicated to Beethoven and stands out for the scantness of its expressive force. It is a non-traditional realist work of the 1970s focused on geometrical form and substance.

Kocković was Tito’s favourite artist, who, in the 1970s also produced a large statue in honour of the leader on the Brijuni islands.

Representing Italy, among others, is a curious design object: the Beethoven table lamp made in Milan out of white, opaque pressed plastic, almost certainly in the 1970s, for the bicentenary of the composer’s birth. Six points of view of Beethoven’s face from the continent, highlighting the multifaceted appeal of the author of the European Anthem.

One of the more special pieces in the Carrino Collection is Beethoven’s life mask. It is one of the earliest bronze pieces from the original plaster cast of his face (now lost) taken in Vienna by Franz Klein in 1812.
Unlike other known copies, this mask features superbly realistic details. You can still see the marks left by smallpox, which Beethoven had caught in Bonn, as well as the joins between the different pieces used to make the original cast, which was damaged by the composer himself due to frustration as the wet plaster was being applied to his face. 

This is Beethoven’s true likeness, which, over the course of two centuries, would become idealised by his mythical status. In the magnificent bronze sculpture by the Belgian Victor Rousseau, known as the “sculptor of souls”, Apollo, the god of music and beauty, looks at his reflection in the maestro’s face, as he contemplates his famous mask.

Beethoven has reached the summit of the Olympus!

We open the procession of masks inspired by Franz Klein’s 1812 life mask with a luminous interpretation produced for the Le Mythe Beethoven exhibition in Paris in 2016. It is only a small portion of the endless production of pieces since the 19th century. 

The first items are rooted in realism; later they are adorned with a laurel wreath nobly crowning his head. 

The 20th century brought new freedoms and broke old moulds. Singular is the mask by Austrian sculptor Franz Theodor Zelezny from the 1910s. It breaks two taboos of Beethoven iconography: the composer, with big, decorative hair, is both smiling and has his eyes open.

In this selection, there are two masks that stand out for their expressive force. One is the 1933 terracotta piece by sculptor G. Muzzinia. The face expresses torment and a wild, vital force. The other is the gilded vitrified ceramic piece by sculptor Enrico Mazzolani and ceramic artist Pietro Melandri from 1935. Two holes in the eyes allow you to look “inside”. A work of vigorous expressionism that conveys a sense of unsettling, almost frightening calm.  Beethoven’s life mask also appears in the still life by Austrian painter Johann (Jan) Havlicek “Trentan”.  And it appears ethereal and sacralised in a stormy sky in the 1913 painting by Max Sieber. A naked man and woman, symbolising the whole of humanity, bow down before the revelation. 

It is difficult to understand Beethoven’s greatness without considering the drama of his deafness. Beethoven was not born deaf. He was born with “absolute pitch”. His intonation was perfect. He was a virtuoso pianist, a talented improviser. He was an entertainer, open to social relations. 

He began to lose his hearing around the age of 25. And the loss continued inexorably. Between 6 and 10 October 1802, he wrote the Heilingestadt Testament (only discovered after his death), in which he expressed his state of mind and explained that his misanthropy was due to his deafness.

In a letter to Baron Ignaz von Gleichenstein written in June 1810, he manifested stoically his need to create an inner world to make up for his isolation:

“For you, poor Beethoven, no happiness can come from the outside. You have to create everything within yourself… Only in an ideal world will you find friends.”

In 1813 he began to use the ear trumpet. We display here an exact replica of one of them, from the Collection of the Beethoven Haus Bonn. In 1818, he resigned himself to communicating via his Conversation Books, and invited those around him to write. Beethoven’s thoughts can be deduced “by reflection” from the words of his interlocutors.

His misfortune has also been of interest to theatre. A drama played by Sir Herbert Tree Beerbohm in London reaches its climax when the composer notices that he can no longer hear the instruments in the orchestra, as illustrated in The Graphic weekly newspaper of 27 November 1909. Even Beethoven’s ears have been the focus of much iconography. Sometimes they are the hands of a cruel demon, sometimes they are thorns, as in the magnificent artistic cover by designer Gio Ponti for the 1921 book La Sordità di Beethoven by ear specialist Guglielmo Bilancioni.

The Heilingestadt Testament is a letter written by Beethoven between 6 and 10 October 1802, intended for his brothers Carl and Johann, but never delivered and found at the composer’s final home in Schwarzspanierhaus after his death. It is a painful painful testimony of the drama of his deafness, which has weighed down on the joyful and lesser-known side of his character. In the words of Beethoven scholar William Kinderman, “although his personal crises and incurable deafness shadowed his life, Beethoven’s resilient personality was marked by humor, a love of puns, and delight in juxtaposing the exalted and the commonplace”.

“O you men who think or say that I am malevolent, stubborn or misanthropic, how greatly do you wrong me. You do not know the secret causes of my seeming so. From childhood my heart and mind were disposed to the gentle feelings of good will, I was even ever eager to accomplish great deeds. But reflect now that for six years I have been a hopeless case, aggravated by senseless physicians […]”

“Born with an ardent and lively temperament, even susceptible to the diversions of society, I was compelled early to isolate myself, to live in loneliness. When I at times tried to forget all this, O how harshly was I repulsed by the doubly sad experience of my bad hearing. And yet it was impossible for me to say to men: speak louder, shout, for I am deaf.”

“Recommend virtue to your children, it alone can give happiness, not money, I speak from experience, it was virtue that upheld me in misery, to it next to my art I owe the fact that I did not end my life with suicide.”

The hero piece of the Biblioteca Beethoveniana is the bronze bust of Beethoven by Marcello Mascherini (Udine, 1906 – Padua, 1983). Marcello Mascherini was a Friuli-born sculptor who lived in Trieste from the age of thirteen and became a world-renowned artist and set designer. Over his long career he received numerous awards, including the San Giusto d’Oro from the City of Trieste the year before he died.

The bust was presented in 1925 at the Second Biennale Exhibition of the Artistic Society of Trieste. In this masterpiece of his youth, Mascherini presents a face with strong features, an open forehead made even more prominent by arched eyebrows, expressing power and a strong will. The lower part of the face with its pursed mouth and tightened jaw are inspired by Franz Klein’s 1812 life mask. The twisted muscles in the broad, powerful neck give us an image of a proud, fearless fighter. The complete absence of eyes serves as a profound symbol of Beethoven’s deafness. This clearly monumental work by the Trieste artist offers us a profound encounter with the dignity of pain, which is part of life.

Beethoven’s gourmet side is revealed in one of his Conversation notebooks, where he talks about taking “a trip sooner or later to Trieste and Venice to try the oysters”. In another, he mentions his favourite Picolit wine from Friuli.
In fact, Beethoven never went to Trieste. He never saw our sea.

But Trieste has a profound relationship with Beethoven’s life. The Old Customs House (Dogana Vecchia), which was demolished in 1840 to make way for Palazzo Tergesteo, is where Giulietta Guicciardi lived between 1796 and 1800, when her father, Franz Guicciardi, Count of Cervarolo, was engaged in government business in Trieste. Aged sixteen when she arrived in Vienna in 1800, the young countess became Beethoven’s pupil. The composer dedicated the “Moonlight” Sonata to her and described her to his friend Wegeler as “a lovely fascinating girl who loves me and whom I love”, bitterly aware that their different social ranks made it an impossible love. 

At the end of Le Rive waterfront, the neoclassical Villa Economo Gossleth reminds us of another friend of Beethoven, Gerhard von Breuning, the young man who was by his side in his final days, and who later wrote a book of memories about the experience.

After becoming a doctor, he came to Trieste as a renowned specialist in limb complaints. There he met and married Giuseppina, the daughter of Trieste industrialist Franz Gossleth, and became a regular visitor to his Neoclassical residence in Largo Promontorio and to the city of Trieste (according to historical research by Carlo de Incontrera).  

But the most extraordinary figure that links Beethoven to Trieste is his most famous biographer, the American Alexander Wheelock Thayer.

Alexander Wheelock Thayer (South Natick, Massachusetts, 1817 – Trieste, 1897) was a journalist, musicologist, diplomat, and author of Ludwig van Beethoven’s Leben, a five-volume biography. The final two volumes were completed posthumously from Thayer’s notes by his German colleagues Hermann Deiters and Hugo Riemann. Given the extraordinary calibre and accuracy of his research, the biography is considered a fundamental work and the most reliable on the life of the German composer.

Thayer wrote most of this monumental biography in Trieste, where he was posted from 1865 as United States consul for the Port of Trieste and all ports the along the Adriatic coast belonging to the Austrian Empire, including the ports of the Kingdom of Lombardy and Venetia, as indicated in the facsimiles of his appointment papers.

Thayer stayed in Trieste for thirty years until his death and lived at Casa Ralli in Riva Grumula. Here, in the favourable climate of this city with strong links to Vienna and Mitteleuropa, he was able to devote himself to his painstaking work on Beethoven.

Alexander Wheelock Thayer’s grave was rediscovered in the Evangelical Cemetery of Trieste thanks to the intense efforts of Trieste historian Oscar de Incontrera. Musicologist Carlo de Incontrera wrote his fundamental 1986 essay Beethoven a Trieste on this subject. More recently, Beethoven scholar Luigi Bellofatto published several important contributions on Thayer. Among the documents on display here is an original letter sent from Trieste by Alexander Wheelock Thayer to Hermann Deiters, kindly made available by the Beethoven-Haus Museum in Bonn: Thayer recounts the details of his own life to Deiters, who was asked to write the article ‘Thayer’ in Meyers Konversationslexicon, one of the most important encyclopaedias of the 19th century.

Beethoven has had and continues to have an important influence on the art scene in Trieste, the region and the wider Central European area linked to the city.

In the 1880s, the Trieste-born vedutista Giuseppe Pogna painted the Romantic-inspired portrait of Beethoven, now presented to the public for the first time. Another of Pogna’s portraits is the Giuseppe Garibaldi he painted in 1893, now at the Museum of the Risorgimento in Trieste.

The Austrian sculptor Franz Seifert, active in Vienna and Trieste, produced the bronze high-relief sculpture of Beethoven’s face on a block of stone surmounted by Euterpe, the Muse of music, whose beauty symbolises the composer’s sublime art.             Seifert also produced the monumental statue of the Empress Sissi, unveiled in Piazza Libertà, Trieste, in 1912.

One mysterious painting is by Gottlieb Theodor von Kempf, an award-winning Austrian artist with works currently on display at the Wien Museum and the British Museum.

In this 1912 work, a charming female figure (Kempf’s model) is portrayed next to a stone bust of Beethoven, presenting him a floral homage. In the background, the sea and a cluster of white and dark clouds convey the power of Nature in Beethoven’s music. The landscape reminds us of the rocky coastline of Duino, which the painter probably saw during his travels with the painter Auchentaller, who resided in Grado.

From Duino to Muggia, it’s just a short step. The Gorizia painter and graphic artist Franco Dugo presents a modern Beethoven, finally on the shores of the Adriatic. In the background is the white obelisk at Punta Sottile on the stunning coast of Muggia. The work was created in 2021 for the Biblioteca Beethoveniana.

The 1912 painting by W. Steffens of a rough sea and grey clouds presaging a storm appears to foreshadow the tragic and mysterious story of the sailing ship “Beethoven”. Built in England in 1904, the “Beethoven” was purchased by German ship-owners in 1910, then sold to Norwegian ship-owners, and finally arrived in Trieste in 1913, where it was bought by the Nautical Institute there and refitted as a school ship.

On its first voyage from Australia to Chile, the “Beethoven” disappeared in the Pacific Ocean in the first months of 1914. On board were large numbers of young cadets from Trieste, Istria, Friuli and Austria.

By a singular coincidence – or act of fate – in 2014, exactly one hundred years after the disaster and as a result of much searching, we found the only original oil painting of the protagonist of this story, which has left an indelible mark on the history and memory of our city.

Stamps, postcards and figurines telling the story of the composer’s life to adults and children, posters talking about Beethoven (or through Beethoven) with humour, “icons” paying tribute to the maestro. Beethoven is a popular, media phenomenon, loved by ordinary people.

The numbers speak for themselves: the Stamp Collection contains all the Beethoven stamps and cancellation marks issued in over 70 countries since 1889. Except, that is, for Italy where, curiously, the composer has never had a stamp dedicated to him!

The collection also includes more than 2,500 postcards, mostly from the “Golden Age of the Postcard”, featuring the famous “Gruß Aus (“Greetings from…”), produced from 1890 until the start of the Great War using chromolithography, a technique that involved overprinting colours up to 12 times! Many of these postcards have travelled and have helped cement beautiful friendships and love stories.

And then there are the colourful figurines, which have unleashed a frenzy among collectors young and old since the late 1800s, while engendering curiosity and culture.

But Beethoven is also a fantastic cultural phenomenon, inspiring writers, scholars, scientists and of course musicians. The library of the Carrino Collection spans more than 200 years of Beethoven publications from the late 1700s to the present day. The 4,500 items include volumes on Beethoven’s life and works, scores, numerous essays, facsimile editions, magazines, periodicals, newspapers and more from all over the world.

Today, as in the past, popularity can be gauged from commercial success.

This summer, the notes of the Fifth Symphony can be heard in an advertisement for a famous brand of Italian confectionery. Often, Beethoven himself is resurrected as a Romantic rock star, endorsing a whole assortment of products: pianos, sound systems, hearing aids, whisky, cleaning products, clothes, air travel… One Austrian company altered the famous “Alle Menschen werden Brüder”, “All men become brothers”, to the tagline “Alle Menschen werden Flieger”, “All men become flyers.”

The composer is even made to wear products or is himself the product. He appears on confectionery, glassware, beer mugs and numerous wine labels, as documented in the well-stocked cellar in the Carrino Collection. He can even become a souvenir: pipes, corkscrews, ashtrays, silk ties or cheesy eccentric gadgets, like a Beethoven smoker or a Beethoven acrobat or a Beethoven musical bottle. The apotheosis of a Myth!

In the 20th century, Beethoven and his music were even exploited for political and ideological purposes, by democracies and dictatorships alike.

Beethoven is bipartisan. He is the musician most loved by Lenin, honoured by Hitler, and enjoyed even by Mussolini. But in France he was trotted out (along with Goethe) in accusations that the Führer was committing “evil” against his own People. He was finally given approval in Beijing when, on 26 March 1977, a Chinese performance of the Fifth Symphony was broadcast on radio and television. The Ninth Symphony has symbolized the hope for freedom among peoples (effectively shown in a recent documentary by Kerry Candaele): in 1989, it resonated among students in Beijing’s Tiananmen Square; in Germany, it became the symbol of reunification through a grand concert conducted by Bernstein at the Brandenburg Gate; in Chile, the Ode to Joy was sung by women protesting Pinochet’s regime.


Winston Churchill’s “V” for Victory was associated with “V” for Fifth Symphony, which became an anthem for the resistance against Nazi invasion.  Three decades later, the monument to the Bonn composer, miraculously undamaged during World War II bomb raids, became a bulwark during pro Viet Cong youth protests.

Beethoven accompanied or foreshadowed the darkest moments of the 20th century. Towards the end of 1918, his face appeared in the satirical magazine Simplicissum, looking mournful at the bleakness left by the war that had just ended on the battlefield. The composer appears pensive against a tense twilight background on a poster for the 1938 Beethoven festival in Baden: Austria had just been occupied by the Nazis. In Ode of Sadness, a postcard of Sarajevo’s music nights, he hovers grimly above the ruins of the city.

In 1903, Romain Rolland published in Paris Beethoven, his heartfelt book that would become a worldwide success. Highly topical, and in harmony with the message of Franz Plany’s work of graphic art, is its striking opening:

The air around us is heavy. Old Europe has grown sluggish in a thick, vitiated atmosphere. An undignified materialism weighs on the mind and hinders the work of governments and individuals. The world is suffocating in its vile, prudent egotism. Let us throw open the windows! Let in the free air! Let us breathe the breath of heroes!” In Franz Plany’s 1944 engraving, an inspired Beethoven appears gigantic in the sky amid Nature’s elements, above the flames of war and its destruction. A passionate kiss between two lovers and a child raised up to the sky convey an image of love and hope for the future. This is the remarkable message that Beethoven left us with his immortal masterpiece: the Ninth Symphony.


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200 Jahre sind seit der Uraufführung von Beethovens Neunter Sinfonie am 7. Mai 1824 im Kärntnertortheater in Wien vergangen.
Wenngleich das prestigeträchtige Theater 1870 abgerissen wurde, haben dieses Ereignis und dieses Werk unauslöschliche Spuren hinterlassen. Mit der Neunten Sinfonie schenkte Beethoven der Welt ein „zeitloses Monument der Musik“ (Gianluigi Mattietti), ein Meisterwerk mit einer komplexen Architektur, das „die größte Anstrengung der Synthese und Erneuerung darstellt, die jemals in der Geschichte der Sinfonie unternommen wurde“. Es ist ein Werk, das die Musik verändert hat, indem es absolute Innovationen wie die Einbeziehung eines Chors in eine Sinfonie brachte: So entstand durch die Vertonung eines Gedichts von Friedrich von Schiller die „Ode an die Freude“, die dazu bestimmt war, die Hymne Europas zu werden.

Geliebt, diskutiert und kritisiert – die Neunte Sinfonie ist nicht nur wegen ihrer musikalischen Werte, sondern auch wegen ihrer ethischen und philosophischen Tragweite und ihrer immensen Energie zu einem universellen Erbe geworden. Sie ist eine Reise in vier Sätzen von der Dunkelheit zum Licht, von den obskuren und widersprüchlichen Kräften, die im Inneren des Einzelnen und der Gemeinschaft kämpfen, bis hin zu dem Bestreben, Schmerz und Verletzungen in einer Umarmung der universellen Brüderlichkeit zu überwinden.

Eine Spannung, die die Menschheit nach oben hebt, hin zum „Schönen Götterfunken“ der Ode An die Freude.

Mit der Unterstützung der Region Friaul-Julisch Venetien und in Zusammenarbeit mit der Gemeinde Muggia bietet der 200. Jahrestag der Neunten Sinfonie eine einzigartige Gelegenheit: Zum ersten Mal stellt das Museum Casa Museo Biblioteca Beethoveniana in Muggia die Schätze der Sammlung Carrino, der größten Privatsammlung in Europa, die dem Mythos des Bonner Genies gewidmet ist, in einem öffentlichen Raum der Stadt aus.

Die Ausstellung bietet einen Rundgang von seltenem dokumentarischem Wert und wertvoller künstlerischer Qualität, der mit der Neunten Sinfonie beginnt und Beethovens Welt aus verschiedenen Blickwinkeln betrachtet, die unter anderem überraschende Verbindungen zu Triest offenbaren. Vor allem aber ist sie eine Hommage an ein beispielhaftes Genie unseres Kontinents und der gesamten Menschheit. Für den Wert seines gigantischen und revolutionären Werks. Für den Mut und den Willen des Mannes, der im schmerzhaften Zustand der Taubheit höchste Musik zu erschaffen vermochte. Für die Energie, die noch heute von Ludwig van Beethoven ausgeht: ein stets aktueller Mythos, eine Quelle der künstlerischen Inspiration, ein Licht der Hoffnung.

7. Mai 1824. Das Kärntnertortheater in Wien veranstaltet ein imposantes Konzert mit drei Werken von Beethoven. Nach der Ouvertüre Die Weihe des Hauses, die 1822 zur Neueröffnung des Theaters in der Josefstadt komponiert wurde, folgen zwei mit Spannung erwartete Uraufführungen des in Bonn geborenen Maestros, dessen Schaffen in den letzten Jahren stark abgenommen hatte. Es handelt sich um die Neunte Sinfonie, die Friedrich Wilhelm III. von Preußen gewidmet ist, und die Missa solemnis, die Beethoven für Erzherzog Rudolph von Österreich geschrieben hatte und von der nur das Kyrie, das Credo und das Agnus Dei aufgeführt werden (das Gloria und das Sanctus wurden aufgrund der Zensur verboten).

Die Vorbereitungen für das Konzert verliefen mühsam, aber schnell: Sie dauerten nur einen Monat, wobei Beethoven mehrmals seine Entmutigung über das Endergebnis zum Ausdruck brachte.

Das Orchester wurde dirigiert von Michael Umlauf an der Seite von Ludwig van Beethoven, der aufgrund seines schlechten Gesundheitszustands und seiner völligen Taubheit auf Unterstützung angewiesen war. Tenor: Anton Haitzinger. Bass: August Seipelt. Sopran: Henriette Sontag, 19 Jahre. Mezzosopran: Caroline Unger, 20 Jahre. Erste Geige: Ignaz Schuppanzigh, Beethovens lebenslanger Freund, der ihn umfassend bei seiner Arbeit unterstützte.

Die Aufführung ist aufgrund der kurzen Probenzeit nicht von höchstem Niveau, aber die Neunte Sinfonie und die Missa solemnis werden vom Publikum geneigt und begeistert aufgenommen, das die Kraft der beiden neuen Meisterwerke spürt.

Beethoven kann den Applaus nicht hören, er sieht nur das Winken mit weißen Taschentüchern, das ihm gewidmet ist. Der Maestro ist dreiundfünfzig Jahre alt, wirkt aber schwer gezeichnet und gealtert.  Gnadenlos ist der Vergleich zwischen dem legendären Porträt eines energischen Beethovens, das Joseph Karl Stieler 1820 anfertigte, und dem von Johann Stephan Decker in jenem Mai 1824, als das Kärntnertortheater in Wien das wohl bedeutendste Konzert der Geschichte erlebte.

Die Komplexität der Neunten Sinfonie lässt unzählige Interpretationen zu. Und bei ihrer Auslegung können nicht die Beweggründe unberücksichtigt bleiben, die Beethoven dazu brachten, Friedrich Schillers „Ode an die Freude“ in den vierten Satz aufzunehmen. Der Komponist war sicherlich empfänglich für die Aussage „Alle Menschen werden Brüder“. So hatte Schiller die politischere Version seiner Ode abgewandelt, in der es hießt: „Bettler werden Fürstenbrüder“. Anklänge an die aufklärerischen Ideale der Brüderlichkeit, die nach dem Blutvergießen der Französischen Revolution verwässert wurden.

In der Neunten Sinfonie zählt jedoch vor allem der introspektive Weg der Erhebung, der das Individuum und die Menschheit aus einem undurchschaubaren und widersprüchlichen Chaos (1. Satz) in ein Terrain dramatischer Kämpfe (2. Satz) führt, bis ein spirituelles Erwachen erreicht wird (3. Satz). Das angestrebte Ziel ist eine „Freude“ (4. Satz), die erreicht wird, wenn man auf eine innere Stimme hört, die die Menschen dazu auffordert, über das Himmelsgewölbe hinauszuschauen: „Brüder, überm Sternenzelt / Muß ein lieber Vater wohnen.“ Der Aufbau der Neunten Sinfonie und ihre Spannung „über Sternen“ deuten auf Beethovens tiefgreifende Kultur hin. Die Kenntnis der Philosophie Kants, dessen Maxime „der bestirnte Himmel über mir, und das moralische Gesetz in mir“ in einem Gesprächsnotizbuch Beethovens unterstrichen war. Die Leidenschaft des Maestros für neue Entwicklungen in der Astronomie, von der er bedeutende Texte aufbewahrte. Seine Weltanschauung, die vielleicht von einem Kosmotheismus inspiriert war, der auf die Mythen des alten Ägyptens zurückging, wie die ägyptischen Leitsätze auf seinem Schreibtisch vermuten lassen.

Die Neunte Sinfonie ist mit ihren vielfältigen Deutungen eine unerschöpfliche Inspirationsquelle für alle Kunstformen.
Zu Beginn des 20. Jahrhunderts wird Beethovens Meisterwerk eine umfangreiche grafische Produktion gewidmet, deren Werke sich durch technisches Können sowie ihre symbolische und expressive Kraft auszeichnen.

Emblematisch und damals skandalös ist „Diesen Kuß der ganzen Welt“ des Deutsch-Österreichers Alois Kolb, in dem die universelle Umarmung der Neunten Sinfonie mit starkem Liebreiz in eine erotische Umarmung übersetzt wird, die auf wundersame Weise mit Beethovens Haar verschmilzt, dessen Gesicht von Franz Kleins Lebendmaske inspiriert ist. Kolb selbst bietet in seiner „Neunten Sinfonie“ eine visionäre Interpretation der „Ode an die Freude“: „Froh, wie seine Sonnen fliegen durch des Himmels prächt’gen Plan, Laufet, Brüder, eure Bahn, Freudig, wie ein Held zum Siegen.“

Der österreichische Kupferstecher Arthur Paunzen stellt sich eine Menschheit vor, die von sozialen (und religiösen) Unterschieden befreit auf einem felsigen Gipfel in Brüderlichkeit vereint ist und dem liebenden Vater zujubelt, indem sie ihre Hände gen Himmel erhebt. Die Sonne, die über dem Meer aufgeht, spielt auf das Gute, das Licht und das Wissen an.

Erhard Amadeus Dier hat in seinen beiden Radierungen Auf der Erde und Im Himmel den Übergang der Menschheit von einem Zustand der Dunkelheit und des Schreckens zum Aufschwung in Richtung des Lichts dargestellt, der von der himmlischen Musik der Harfe begleitet wird.
Ein Werk aus den 1920er Jahren zeigt eine dramatische Vision der Menschheit, die sich unter dem schützenden Blick Beethovens nach dem rettenden Kuss der Neunten Sinfonie sehnt, verklärt im Sternenhimmel. Die im Jugendstil gehaltenen Ex Musicis von Franz Stassen, dem berühmten deutschen Graveur und Illustrator, interpretieren das Thema der Erhebung, indem sie mal auf das symbolische Bild der Harfe, dem Instrument der himmlischen Melodien, und mal auf das astronomische Motiv des Sternenhimmels zurückgreifen, der wie ein Schleier von einer prometheischen Figur in Gestalt des Komponisten zurückgehalten wird.

Beethovens Ikonographie, insbesondere die der Neunten Sinfonie, zeigt oft das Gesicht des Komponisten, das im Himmel schwebt, ein Schöpfer, der Energie ausstrahlt, in einer „heiligen“ Sphäre, die physische Grenzen überschreitet, wie in Fritz Kaisers Gemälde von 1927 zum hundertsten Todestag des Komponisten.

Beethoven selbst trägt zu diesem Mythos bei. In seinem Brief vom 13. Februar 1814 an seinen Freund Franz von Braunschweig schreibt er: „Was mich angeht, ja du lieber Himmel, mein Reich ist in der Luft […], wie der Wind ist, so wirbeln die Töne, so oft wirbelt’s auch in der Seele.“

Dies sind die Worte eines modernen, bereits romantischen Künstlers, der von der Natur in ihrer kosmischen Ausdehnung inspiriert ist. Der Harfen- und Klavierbauer Johann Andreas Stumpff berichtete, dass Beethoven ihm 1824 seinen „Blick nach oben“ wie folgt beschrieben habe: 

„Wenn ich nachts das Wunder des Firmaments betrachte und die Reihe der leuchtenden Körper, die wir Welten und Sonnen nennen und die sich ewig in seinen Grenzen drehen, dann schwebt mein Geist über diese Sterne hinaus, viele Millionen Meilen weit weg, zu der Quelle, aus der jedes geschaffene Werk entspringt und aus der alle neue Schöpfung noch fließen muss.“ 

Mit seiner Idealität kämpft Beethoven darum, die Kompromisse des Marktes zu akzeptieren,

wie er in einem äußerst zeitgemäßen Brief vom 15. Januar 1801 an den Verleger Franz Anton Hoffmeister in Leipzig schreibt: „Ich wünschte, daß es anders in der Welt seyn könnte, es sollte nur ein Magazin der Kunst in der Welt seyn, wo der Künstler seine Kunstwerke nur hinzugeben hätte, um zu nehmen, was er brauchte, so muß man noch ein halber Handelsmann dabey seyn, und wie findet man sich darein – du lieber Gott – das nenne ich noch einmal sauer.“

Im Februar 1824 war die Neunte Sinfonie mit der Partitur fertig. Ganze zwei Jahre lang hatte sie Beethoven intensiv überarbeitet. Und seit den ersten Entwürfen sind mindestens acht Jahre vergangen. Aber Belege für Beethovens Arbeit an Schillers „Ode an die Freude“ gehen bereits auf das Jahr 1798 zurück (Biamonti-Katalog, Nr. 189). Und sogar noch früher hatte der Jurist Bartholomäus Fischenich, ein Freund Schillers, in einem Brief vom 26. Januar 1793 an die Tochter des Dichters, Charlotte von Schiller, über diese Absichten geschrieben: „Ich lege Ihnen eine Composition der Feuerfarbe bei, und wünschte ihr Urtheil darüber zu vernehmen. Sie ist von einem hiesigen jungen Mann [Beethoven], dessen musikalische Talente allgemein angerühmt werden, und den nun der Kurfürst nach Wien zu Haidn geschickt hat. Er wird auch Freude und zwar jede Strophe bearbeiten. Ich erwarte etwas vollkommenes, denn so viel ich ihn kenne, ist er ganz für das Große und Erhabene.“
Diese lange Entstehungsgeschichte, die durch Kultur und Meditation untermauert wird, und die Gewissenhaftigkeit der Skizzen, die die Entwicklung des Werks begleiteten, „widersprechen dem Mythos von den zufälligen Inspirationsschüben des Künstlers. Beethoven verkörpert die Wahrheit, dass man sich große Kunst erobern muss und sie nicht geschenkt bekommt.“ (Robert Winter). Geduld, Hartnäckigkeit und Tiefgründigkeit, in unterschiedlichen Formen, aber mit der gleichen Leidenschaft, unterstützen auch die Nachforschungen des Sammlers und machen jede echte Sammlung zu einem sich ständig erweiternden Universum aus Perspektiven und Geschichten, gespickt mit Details und Kuriositäten, von denen Tag für Tag neue entdeckt werden.

„Eine Sammlung zu pflegen, bedeutet vor allem, die Kunst des Sehens zu üben: Sehen lernen, jenseits der mechanischen Gewohnheit des Blickens.“
Sergio Carrino

150 Gemälde und Skulpturen, 800 Kunstgrafiken, 250 Objekte der angewandten Kunst, 4500 Ausgaben zwischen der Musikbibliothek und der bibliografisch-historischen Bibliothek, 550 Medaillen und Münzen, 450 Exlibris, 2700 Postkarten, 400 Sammelbilder, 1750 Briefmarken, Werbeartikel, Kitschobjekte, Weine, Süßigkeiten und Gewürze.

Die Sammlung der Familie Carrino ist im Museum Casa Museo Biblioteca Beethoveniana in Muggia untergebracht: Hier werden in einem guten Dutzend Räume rund 11.500 Stücke in 12 Sammlungen verwahrt. Sie ist das Ergebnis einer umfassenden Forschungsarbeit, die 1971 begann und an der zunächst Sergio Carrino, dann seine Frau Giuliana und seit Langem auch ihr Sohn Ludovico beteiligt waren und sind. Aus dieser Leidenschaft heraus entstand Europas größte Privatsammlung, die Ludwig van Beethoven und seinem Mythos gewidmet und in einem Haus ausgestellt ist, in dem das Leben mit seiner täglichen Routine fließt.

Als Protagonist wichtiger Beethoven- und Musikausstellungen in Bonn, Paris, Baden und Rovigo wurde die Sammlung der Familie Carrino heute von Malte Boecke, Direktor und Geschäftsführender Vorstand des Beethoven-Hauses in Bonn, wie folgt beschrieben: „[…] sie ist zweifellos die interessanteste Sammlung von Themen zur Rezeption und Wirkung von Beethoven vom 19. Jahrhundert bis heute.“

Michael Ladenburger, der über dreißig Jahre das Museums im Beethoven-Haus Bonn leitete, drückt es so aus: „Die Sammlung Carrino in Muggia, wie es sie in dieser Ausrichtung und Fülle nirgendwo sonst gibt, […] bietet dem Besucher sowohl ästhetisch wie auch emotional immer neue und überraschende Blickwinkel.“  Das Konzept „Sehen lernen“ gilt besonders für die Sammlungen von Medaillen und Exlibris: Durch aufmerksames Beobachten entdeckt man jene wunderbaren Details, die diese kleinen Kunstwerke zu kostbaren Meisterwerken machen.

FOKUS 1. MEDAILLEN Medaillen, Plaketten und Münzen werden oft als „unbedeutende“ Kunstformen angesehen, da sie aus Gold geschmiedet werden und feierlichen Zwecken dienen. Mit über 550 Exemplaren zum Thema Beethoven räumt die Sammlung Carrino mit diesem Vorurteil auf und zeigt eine Welt, in der formale Schönheit, bildhauerische Technik, Materialtechnologie und handwerkliche Finesse auf kleinstem Raum konzentriert sind und echte Meisterwerke entstehen lassen.

Unter den Exemplaren, die unsere Beobachtungsgabe am meisten herausforderten, haben wir die versilberte Bronzemedaille von Alfred Rothberger (1837 – 1932) aus dem Jahr 1908 ausgewählt.

Die Vorderseite der Medaille zeigt uns ein kraftvolles Porträt von Beethoven. 

Auf der Rückseite ist ein stürmisches Meer unter einem wolkenverhangenen Himmel zu sehen. Eine Miniaturlandschaft, die uns die Emotionen von Beethovens Musik und den Charakter des Maestros vermittelt. Erst nach einer ganzen Weile der genauen Beobachtung erkannten wir einen winzigen Blitz, der die Landschaft durchbricht und die beiden Elemente miteinander verbindet. Das Wunder der Entdeckung hört für Sammler nie auf.  

FOKUS 2. EXLIBRIS
Mit über 450 Exemplaren ist die Exlibris-Sammlung zum Thema Beethoven der Sammlung Carrino sicherlich die bedeutendste der Welt. Das Exlibris (aus dem Lateinischen „aus den Büchern“) begleitet die Bände von Bücherliebhabern seit über fünfhundert Jahren: Es ist ein auf die Innenseite des vorderen Buchdeckels geklebter, künstlerisch gestalteter Zettel, der den Namen des Besitzers einer Büchersammlung trägt. Ursprünglich das Vorrecht aristokratischer, klösterlicher und universitärer Bibliotheken, wurde es im goldenen Zeitalter des Grafikdesigns an der Wende vom 19. zum 20. Jahrhundert zu einer Mode des Bürgertums, was dazu führte, dass die besten Grafikdesigner der Zeit angeheuert wurden, um authentische Kunstwerke zu schaffen.

Das Exlibris für Karoline Freifrau von Dalberg, ein Original-Kupferstich, wurde 1910 von dem österreichischen Künstler Alfred Cossmann (1870-1951) geschaffen. Es ist vielleicht das schönste Exlibris, das je zu Beethoven angefertigt wurde. Durch die Vergrößerung kann man die Feinheit und Dichte der Striche dieses grafischen Meisterwerks in Miniatur schätzen.

Die Neunte Sinfonie ist sowohl eine technische als auch eine künstlerische Herausforderung und ein angestrebtes Ziel für die größten Dirigenten. Hier ist das Originalplakat einer ihrer Aufführungen in der Mailänder Scala am 28. Mai 1949 zu sehen, dirigiert von Wilhelm Furtwängler, der als der bedeutendste Beethoven-Dirigent aller Zeiten gilt.

Der Einfluss und die Popularität der Neunten Sinfonie gehen jedoch über die Musik hinaus: Sie wurde sogar zum Soundtrack – verzerrt und super-beschleunigt – von Stanley Kubricks Kultfilm Uhrwerk Orange und zu einem therapeutischen Mittel für den jungen Protagonisten, „dessen Interessen Vergewaltigung, Ultra-Gewalt und Beethoven sind“. Beim Schicksal eines Mythos muss auch mit seiner grotesken oder humorvollen Entstellung gerechnet werden. Ein Beispiel dafür ist die tragikomische Vignette in einer Wiener Zeitung, die anlässlich des 100-jährigen Jubiläums der Neunten Sinfonie einen unglücklichen Beethoven abbildet, der mit den Neuerungen des Jahres 1924 zu kämpfen hat und sich zum Beispiel in einem Café-concert unwohl fühlt oder auf der Bühne einer Operette leicht reizbar ist.

Zwischen 1807 und 1808 komponierte Beethoven die Sechste Sinfonie, die als Pastorale bekannt ist.
Niemals zuvor war die Natur so tief in die Musik eingedrungen und wurde von der Sensibilität des Komponisten als Abbild des Göttlichen, der Ordnung und Schönheit des Kosmos fast neu geschaffen.

Das Gemälde des berühmten österreichischen Malers Rudolf Alfred Höger zeigt Beethoven, wie er in der Nähe von Heiligenstadt bei Wien an einem Bach entlang spaziert – genau an der Stelle, an der er die Pastorale komponierte.In seine musikalischen Gedanken vertieft, scheint er weder die kleine Gruppe von Personen zu bemerken, die über ihn spricht, noch seine Exzentrizität oder dass er mit lauter Stimme Selbstgespräche führt.

Dies ist eines von vielen Werken in der Sammlung Carrino, die Beethoven bei seinen berühmten meditativen Spaziergängen in der Wiener Landschaft zeigen und einen Querschnitt durch die europäische Kunst des 19. und 20. Jahrhunderts bieten: von der Romantik über den Impressionismus bis zum Jugendstil. Mal wirkt Beethoven völlig verändert, während er dem peitschenden Wind und den Elementen der Natur trotzt, mal wird er in Zurückhaltung erfasst, wie auf dem stimmungsvollen Gemälde von Maximilian Spilhaczek, auf dem er in seinem Landhaus in Heiligenstadt zu sehen ist, beleuchtet von einem Sonnenstrahl: ein Licht, das am Abend stirbt und jeden Morgen noch heller wiedergeboren wird, eine Darstellung der geistigen Entwicklung und der Ewigkeit.    Für Beethoven ist die Natur die herbeigesehnte Mutter, Quelle von Wahrheit und Wissen sowie Hüterin der moralischen Werte der Menschheit. Ihre ehrfurchtgebietende Schönheit wird durch die pantheistische Vision des Komponisten verstärkt, wie seine Worte im Fischhoffschen Manuskript zeigen: „Allmachtiger im Walde, Ich bin selig, glücklich im Wald. Jeder Baum spricht durch dich. Gott, welche Herrlichkeit in einer solchen Waldgegend, in den Höhen ist Ruhe — Ruhe ihm zu dienen.“

Beethovens tiefe, innige Beziehung zur Natur wird durch die berühmte Anekdote seines Schülers und Musikers Ferdinand Ries (Notizen, 1838, S. 99) gut illustriert:

„Bei einem […] Spaziergange, auf dem wir uns so verirrten, dass wir erst um achte Uhr nach Döbling, wo Beethoven wohnte, zurückkamen, hatte er den ganzen Weg über für sich gebrummt oder teilweise geheult, immer herauf und herunter, ohne bestimmte Noten zu singen. Auf meine Frage, was das es sei, sagte er, ,da ist mir ein Thema zum letzten Allegro der Sonate eingefallen` (in F moll Opus 57, Appassionata). Als wir in‘s Zimmer traten, lief er, ohne den Hut abzunehmen, an‘s Klavier. Ich setzte mich in eine Ecke, und er hatte mich bald vergessen. Nun tobte er wenigstens eine Stunde lang über das neue, so schön dastehende Finale in dieser Sonate. Endlich stand er auf, war erstaunt, mich noch zu sehen, und sagte: ,Heute kann ich Ihnen keine Lection geben, ich muß noch arbeiten.‘“

Dass die Natur eine Quelle der Inspiration ist, hat Beethoven selbst erkannt. Hier ist seine Antwort an den jungen Musiker Louis Schlösser, der ihn 1823 nach seiner Kompositionsmethode fragte: „Woher meine Ideen stammen? (…) Ich kann sie fast mit den Händen fassen, in der freien Natur, mitten im Wald, bei einem Spaziergang, in der Stille der Nacht, im Morgengrauen, erregt durch verschiedene Stimmungen: die sich im Dichter in Worte und in mir in Töne verwandeln, die widerhallen, rauschen, wirbeln, bis sie an einem bestimmten Punkt in Form von Noten vor mir stehen.“

Der Einfluss von Beethoven – Mensch, Genie, Mythos – auf die europäische Kunst und Kultur ist gewaltig. Sein Gesicht, das zu den bekanntesten der Menschheitsgeschichte gehört, war und ist Gegenstand unzähliger Darstellungen.  Um diese Vielfalt zu bezeugen, werden eine Reihe von Beethoven-Büsten gezeigt, die ein Jahrhundert und sechs europäische Länder umspannen und eine „lehrreiche“ Sequenz der bildhauerischen Stile und Techniken entfalten.

Die Büste des deutschen Künstlers Hugo Hagen aus der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts zeigt den klassischen romantischen Geschmack der bürgerlichen Salons jener Epoche.

Die polychrome Keramikskulptur des Franzosen Albert Dominque Rosé aus dem Jahr 1897 erinnert an die Zeit der großen Manufakturen, wie die historische Wiener Firma Goldscheider, in der sie hergestellt wurde.

Die Büste aus patiniertem Gips des Ungarn Ede Telcs, die zwischen Jugendstil und Art Deco angesiedelt ist, ist von großem historischen Interesse, da sie auf der Weltausstellung 1906 in Mailand ausgestellt wurde.

Die Bronzebüste der Schweizerin Adele Schallenmüller wurde von Peter Breuers Denkmal in Bonn von 1910 inspiriert, in dem Beethoven die Gestalt eines riesigen Gottes annimmt.

Die Bronzebüste des produktiven Künstlers Marijan Kocković ist das einzige kroatische Werk, das Beethoven gewidmet ist, und besticht durch seine Nüchternheit und Ausdrucksstärke. Es handelt sich um ein Werk in einem nicht-traditionellen realistischen Stil mit Schwerpunkt auf geometrischen Formen und Texturen aus den 1970er Jahren.

Kocković war Titos Lieblingskünstler und schuf in den 1970er Jahren auch eine große Ehrenstatue für ihn auf der Insel Brijuni.

Italien wird durch ein kurioses künstlerisches Designobjekt repräsentiert: die Beethoven-Lampe aus gepresstem, mattweißem Kunststoff, die 1970 in Mailand anlässlich des zweihundertsten Geburtstages des Komponisten hergestellt wurde.

Sechs kontinentale Blickwinkel auf das Gesicht Beethovens, die die facettenreiche Faszinationskraft des Komponisten der Hymne Europas hervorheben.

Zu den wertvollen Stücken der Sammlung Carrino gehört die Lebendmaske Beethovens: eines der frühesten Exemplare aus Bronze, das nach dem (heute verlorenen) originalen Gipsabdruck des Gesichts hergestellt wurde, den Franz Klein im Jahr 1812 in Wien anfertigte.
Im Gegensatz zu den anderen bekannten Kopien weist diese Maske Details von sensationellem Realismus auf: Man kann noch immer die Spuren der Pocken erkennen, die Beethoven in Bonn befallen hatten, sowie die Fugen der verschiedenen Teile, mit denen der Originalabguss wieder zusammengesetzt worden war, der durch die Ungeduld des Komponisten beim Auftragen des nassen Gipses direkt auf sein Gesicht beschädigt wurde. 

Dies ist das wahre Gesicht Beethovens, das im Laufe von zwei Jahrhunderten von seinem Mythos idealisiert werden sollte. In der prächtigen Bronzeskulptur des Belgiers Victor Rousseau, der als „Bildhauer der Seelen“ bekannt ist, spiegelt sich Apollo, der Gott der Schönheit und der Musik, sogar im Gesicht des Maestros, der seine berühmte Maske betrachtet. Beethoven hat die Schwelle des Olymps überschritten!

Mit einer leuchtenden Interpretation, die für die Ausstellung Le Mythe Beethoven 2016 in Paris geschaffen wurde, eröffnen wir eine Maskenparade, die von Franz Kleins Lebendmaske von 1812 inspiriert ist. Sie ist nur ein kleiner Teil einer endlosen Produktion vom 19. Jahrhundert bis heute. 

Die ersten Exemplare sind vom Realismus geprägt, später werden sie mit einem Lorbeerkranz geschmückt, der den Kopf edel umschließt. 

Das 20. Jahrhundert bringt neue Freiheiten: alte Muster werden durchbrochen. Einzigartig ist die Maske des österreichischen Bildhauers Franz Theodor Zelezny aus dem ersten Jahrzehnt des 20. Jahrhunderts, die gleichzeitig mit zwei Tabus der Beethoven-Ikonografie bricht: Der Maestro mit der voluminösen und äußerst dekorativen Frisur lächelt und hat außerdem die Augen geöffnet.

In dieser Auswahl stechen zwei Masken durch ihre Ausdruckskraft hervor: die Terrakottamaske des Bildhauers G. Muzzina aus dem Jahr 1933, deren Gesicht Qualen und eine wilde, vitale Kraft zum Ausdruck bringt, sowie die glasierte und vergoldete Keramikmaske von Bildhauer Enrico Mazzolani und Keramiker Pietro Melandri aus dem Jahr 1935. Zwei Löcher an den Augen erlauben einen Blick ins „Innere“. Ein Werk von kraftvollem Expressionismus, das ein unheimliches, fast furchterregendes Gefühl der Ruhe vermittelt. 

Beethovens Lebendmaske kommt auch im Stillleben des österreichischen Malers Johann (Jan) Havlicek genannt „Trentan“ vor.  Und sie erscheint ätherisch und sakralisiert in einem stürmischen Himmel in dem Gemälde von Max Sieber aus dem Jahr 1913, in dem sich ein nackter Mann und eine nackte Frau, die die gesamte Menschheit symbolisieren, vor der Offenbarung auf die Knie werfen. 

„Doch ich wäre glücklich, vielleicht einer der glücklichsten Menschen, wenn nicht der Dämon in meinen Ohren seinen Aufenthalt aufgeschlagen.“ Beethoven, Brief an Franz Wegeler, 2. Mai 1810. 

Es ist schwierig, Beethovens Größe zu verstehen, ohne das Drama seiner Taubheit zu berücksichtigen. Beethoven wurde nicht taub geboren, sondern mit einem „absoluten Gehör“. Er hat eine perfekte Intonation. Er ist ein virtuoser Pianist mit Talent zum Improvisieren. Er ist ein Entertainer, der offen für soziale Beziehungen ist. 

Im Alter von 25 Jahren macht sich die Schwerhörigkeit bemerkbar und schreitet unaufhaltsam voran. Zwischen dem 6. und 10. Oktober 1802 schreibt er das berühmte „Heiligenstädter Testament“, in dem er seinen inneren Zustand ausdrückt und erklärt, dass seine Misanthropie auf seine Taubheit zurückzuführen ist.

In einem Brief an Baron Ignaz von Gleichenstein im Juni 1810 äußert er stoisch 

die Notwendigkeit, sich eine innere Welt zu schaffen, um seine Isolation zu kompensieren:

„Für dich armer Beethoven, gibt es kein Glück von außen, du musst dir alles in dir selbst erschaffen – nur in der Idealen Welt findest du Freunde.“

1813 begann er, das Höhrrohr zu benutzen, das er zum ersten Mal der Öffentlichkeit vorstellte. 1818 findet er sich damit ab, über die berühmten Konversationshefte zu kommunizieren, in die er seine Gesprächspartner schreiben lässt: Da er selbst meist mündlich antwortet, lassen sich aus diesen Dokumenten Beethovens Gedanken lediglich aus den Formulierungen seiner Gesprächspartner ableiten. 

Sein Unglück wirkt sich auch auf das Theater aus: Ein von Sir Herbert Tree Beerbohm in London aufgeführtes Drama erreicht seinen Höhepunkt, als der Maestro feststellt, dass er die Instrumente des Orchesters nicht mehr hören kann, wie die Zeitschrift The Graphic vom 27. November 1909 gut illustriert. Auch die Ohren Beethovens werden häufig zu den Protagonisten der Ikonografie: Mal sind sie die Hände eines grausamen Dämons, mal sind sie Dornen, wie auf dem großartigen Titelbild des Designers Gio Ponti für das Buch La sordità di Beethoven des Ohrenarztes Guglielmo Bilancioni aus dem Jahr 1921.

Das Heiligenstädter Testament ist ein eigenhändig geschriebener Brief Beethovens, den er zwischen dem 6. und 10. Oktober 1802 verfasste. Er war ideell an seine Brüder Carl und Johann gerichtet, wurde nie zugestellt und erst nach seinem Tod im Schwarzspanierhaus, dem letzten Wohnort des Komponisten, gefunden. Es ist das schmerzlichste Zeugnis für das Drama seiner Taubheit. Wir zitieren ein paar Passagen daraus:

„O ihr Menschen die ihr mich für Feindseelig störisch oder Misantropisch haltet oder erkläret, wie unrecht thut ihr mir, ihr wißt nicht die geheime ursache von dem, was euch so scheinet, mein Herz und mein Sinn waren von Kindheit an für das zarte Gefühl des Wohlwollens, selbst große Handlungen zu verrichten dazu war ich immer aufgelegt, aber bedenket nur daß seit 6 Jahren ein heilloser Zustand mich befallen, durch unvernünftige Ärzte verschlimmert“ […]

„Zerstreuungen der Gesellschaft, muste ich früh mich absondern, einsam mein Leben zubringen, wollte ich auch zuweilen mich einmal über alles das hinaussezen, o wie hart wurde ich dur[ch] die verdoppelte traurige Erfahrung meines schlechten Gehör’s dann zurückgestoßen, und doch war’s mir noch nicht möglich den Menschen zu sagen: sprecht lauter, schreyt, denn ich bin Taub “ […] „ […] emphelt euren Kindern Tugend, sie nur allein kann glücklich machen, nicht Geld, ich spreche aus Erfahrung, sie war es, die mich selbst im Elende gehoben, ihr Danke  ich nebst meiner Kunst, daß ich durch keinen selbstmord mein Leben endigte“ […]

Das symbolische Werk des Museums Biblioteca Beethoveniana in Muggia ist die Bronzebüste Beethovens von Marcello Mascherini (Udine, 1906 – Padua, 1983). Der aus Friaul stammende Marcello Mascherini, der seit seinem 13. Lebensjahr in Triest lebte, war ein international bekannter Bildhauer und Bühnenbildner. Während seiner langen Karriere erhielt er zahlreiche Auszeichnungen und im Jahr vor seinem Tod wurde er von der Stadt Triest mit dem San Giusto d’oro ausgezeichnet.

Die Büste wurde 1925 auf der zweiten Biennale-Ausstellung des Künstlerkreises von Triest vorgestellt. In diesem jugendlichen Meisterwerk präsentiert uns Mascherini ein Gesicht mit markanten Zügen und einer breiten, unbedeckten Stirn, die durch ausgeprägte Augenbrauenbögen betont wird und so Kraft und Willensstärke zum Ausdruck bringt. Der untere Teil des Gesichts mit dem zusammengezogenen Mund und dem zusammengebissenem Kiefer ist von Franz Kleins Lebendmaske aus dem Jahr 1812 inspiriert. Die Verdrehung der Muskeln des breiten, kräftigen Halses vermittelt das stolze Bild eines unbeugsamen Kämpfers. In der unverhohlenen Monumentalität dieses Werks bietet uns der Künstler aus Triest eine tiefe Begegnung mit der Würde des Schmerzes, der zum Leben gehört.

In einem der Konversationshefte sickert der Wunsch des Komponisten, der gutes Essen zu schätzen weiß, durch, „einmal nach Triest und Venedig zu fahren, um die Austern zu kosten“. In einem anderen fehlt es nicht an Anerkennung für seinen Lieblingswein: den friaulischen Picolit.
Beethoven hat Triest nie wirklich besucht. Auch das Meer hat er nie gesehen.

Dennoch ist Triest stark mit Beethovens Leben verflochten. Im Palazzo della Dogana Vecchia, der 1840 dem Neubau des Palazzo Tergesteo weichen musste, lebte Giulietta Guicciardi zwischen 1796 und 1800, als ihr Vater, Graf Francesco Guicciardi di Cervarolo, in Triest mit Regierungsaufgaben beschäftigt war. Als Giulietta 1800 im Alter von 16 Jahren nach Wien kam, wurde die triestinische Gräfin Beethovens Schülerin. Ihr widmete der Komponist die berühmte Sonate, die später „Al chiaro di luna“ genannt wurde. Der Komponist beschrieb sie seinem Freund Wegeler als „ein liebes, zauberisches Mädchen […], die mich liebt, und die ich liebe“, aber mit dem bitteren Bewusstsein einer unmöglichen Liebe aufgrund der damals unüberwindbaren Standesunterschiede. 

Am Ende der Rive, der berühmten Uferpromenade von Triest, erinnert uns Villa Gossleth – Economo an eine andere Beethoven-Figur: Gerhard von Breuning, ein sehr junger Freund des Komponisten, der ihm in seinen letzten Tagen nahe stand und der ihm sein berühmtes Buch der Erinnerungen widmete.

Als Arzt kam er wegen seines Rufs als Spezialist für die Behandlung von Gliedmaßen nach Triest. Hier lernte er Giuseppina kennen, die Tochter des Triester Industriellen Franz Gossleth, und heiratete sie, woraufhin er häufig in der neoklassizistischen Residenz in Largo Promontorio und Triest zu Besuch war (Quelle: historische Recherchen von Carlo de Incontrera).  

Aber die außergewöhnlichste Figur, die Beethoven mit Triest verbindet, ist sein berühmtester Biograf: der Amerikaner Alexander Wheelock Thayer.

Der Journalist, Musikwissenschaftler und Diplomat Alexander Wheelock Thayer (South Natick, Massachusetts, 1817 – Triest, 1897) ist der Autor von Ludwig van Beethoven’s Leben, einer fünfbändigen Biografie, deren letzte beiden Bände posthum erschienen und von den Deutschen Hermann Deiters und Hugo Riemann anhand seiner Notizen überarbeitet wurden. Sie gilt aufgrund ihrer außerordentlichen Recherche und Genauigkeit als grundlegendes und zuverlässigstes Werk über das Leben des deutschen Komponisten.

Die Abfassung dieser mächtigen Biografie fand größtenteils in Triest statt, wo Thayer 1865 zum Konsul der Vereinigten Staaten von Amerika für den Hafen von Triest und alle anderen zum österreichischen Kaiserreich gehörenden Adriahäfen, einschließlich der Häfen des Königreichs Lombardo-Venetien, ernannt wurde, wie das Faksimile der Ernennung zeigt.

Thayer blieb mehr als dreißig Jahre lang bis zu seinem Tod in Triest und wohnte in der Casa Ralli in Riva Grumula. Im günstigen Klima der Stadt, die eng mit Wien und Mitteleuropa verbunden ist, konnte er sich mit Beethoven’schem Willen seinem imposanten Kartäuserwerk widmen. Sein Grab, das dank der leidenschaftlichen Nachforschungen des triestinischen Historikers Oscar de Incontrera wiederentdeckt wurde, befindet sich auf dem evangelischen Friedhof von Triest. In diesem Zuge wurde 1986 der grundlegende Aufsatz Beethoven in Trieste des Musikwissenschaftlers Carlo de Incontrera veröffentlicht.

Beethoven hatte und hat einen großen Einfluss auf die triestinische, regionale und mitteleuropäische Kunstwelt, die mit der Stadt verbunden ist.

Giuseppe Pogna, ein Vedutenmaler aus Triest, widmete Beethoven in den 1880er Jahren ein wunderschönes romantisches Porträt, ein Werk, das bisher unbekannt war und nun zum ersten Mal öffentlich präsentiert wird. Ein weiteres Porträt von Pogna ist das von Giuseppe Garibaldi aus dem Jahr 1893, das im Museo del Risorgimento in Triest verwahrt wird.

Der österreichische Bildhauer Franz Seifert, der in Wien und Triest arbeitete, ist der Erschaffer der Bronzeskulptur, die Beethovens Gesicht im Hochrelief auf einem felsigen Gedenkstein zeigt, welcher von Euterpe, der Muse der Musik, überragt wird, die bei der Entdeckung ihrer Schönheit die erhabene Kunst des Maestros symbolisiert.             Seifert ist auch der Schöpfer des großen Denkmals für Sissi auf der Piazza Libertà in Triest, das 1912 eingeweiht wurde.

Eine geheimnisvolle Interpretation ist das Gemälde von Gottlieb Theodor von Kemp aus dem Jahr 1912, einem preisgekrönten österreichischen Künstler, dessen Werke heute im Wien Museum und im British Museum zu sehen sind.

Eine bezaubernde weibliche Figur ist neben ihrem Lieblingskomponisten abgebildet, wobei sie ihm einen Blumengruß zollt. Im Hintergrund bringen das Meer und dunkle weiße Wolken die Kraft der Natur in Beethovens Musik zum Ausdruck. Die Landschaft erinnert an die felsige Küste von Duino, die der Maler höchstwahrscheinlich auf seinen Reisen in Begleitung des Malers Auchentaller, einem Stammgast aus Grado, kennengelernt hat.

Von Duino nach Muggia ist es nicht weit. Der gorizianische Maler und Grafiker Franco Dugo präsentiert uns einen modernen Beethoven, der endlich an den Ufern der Adria ruht. Im Hintergrund ist der weiße Obelisk von Punta Sottile an der schönen Küste von Muggia zu erkennen. Es ist ein Werk aus dem Jahr 2021 als Hommage an das Museum Casa Museo Biblioteca Beethoveniana.

Das Gemälde von W. Steffens aus dem Jahr 1912 mit der rauen See und den grauen Sturmwolken scheint die tragische und geheimnisvolle Geschichte des Segelschiffs „Beethoven“ vorwegzunehmen. Es wurde 1904 in England gebaut, von deutschen Reedern gekauft, 1910 an norwegische Reeder verkauft und kam schließlich 1913 in Triest an, wo es vom Nautischen Institut gekauft und als Schulschiff umgebaut wurde.

Auf ihrer ersten Reise von Australien nach Chile verschwand die „Beethoven“ Anfang 1914 im Pazifischen Ozean und mit ihr viele junge Kadetten aus Triest, Istrien, Friaul und Österreich.

Durch einen besonderen Umstand – oder als Zeichen des Schicksals – gelang es uns 2014, genau einhundert Jahre nach der Katastrophe, dank verschiedener Nachforschungen das einzige Original-Ölgemälde zu finden, das den Protagonisten dieses Ereignisses zeigt, das die Geschichte und das Gedächtnis unserer Stadt unauslöschlich geprägt hat.

Briefmarken, Postkarten, Sammelbilder, die Erwachsenen und Kindern von dem Komponisten erzählen, Plakate, die mit einem Lächeln über Beethoven (oder durch Beethoven) sprechen, „Ikonen“, die den Maestro verehren. Beethoven ist ein populäres und mediales Phänomen und wird von der Allgemeinheit geliebt.

Die Zahlen sagen alles: Die Briefmarkensammlung umfasst sämtliche Briefmarken, Poststempel usw. zu Beethoven von 1889 bis heute, die von mehr als 70 Ländern der Welt herausgegeben wurden. Italien fehlt allerdings, denn kurioserweise wurde dem Komponisten hier keine einzige Briefmarke gewidmet!

Die Sammlung umfasst auch mehr als 2.500 Postkarten, die meisten aus dem sogenannten „Goldenen Zeitalter der Postkarte“: die berühmten Karten mit der Aufschrift „Gruß aus“, die von 1890 bis zum Beginn des Ersten Weltkriegs hergestellt und mit dem aufwendigen Verfahren der Chromolithografie gedruckt wurden, bei der bis zu 12 Farbschichten zum Einsatz kamen! Viele von ihnen wurden tatsächlich verschickt und eröffnen zarte Einblicke in Freundschaft und Liebe.

Und dann sind da noch die farbenfrohen Sammelbilder, die seit dem Ende des 19. Jahrhunderts bis heute eine regelrechte Sammelleidenschaft bei Kindern und Erwachsenen ausgelöst und so Neugier geweckt und zur Kultur beigetragen haben. Aber Beethoven ist auch ein großes kulturelles Phänomen, das Schriftsteller, Gelehrte, sogar Wissenschaftler und natürlich Musiker inspiriert hat. Die Bibliothek der Sammlung Carrino umfasst mehr als zweihundert Jahre an Veröffentlichungen über Beethoven, die vom späten 18. Jahrhundert bis heute erschienen sind. Sie enthält mehr als 4.500 Artikel, darunter Bände über sein Leben und seine Werke, Partituren, verschiedene Aufsätze, Faksimile-Ausgaben, Zeitschriften, Magazine, Zeitungen u.v.m. aus aller Welt.

Gestern wie heute ist der Gradmesser der Popularität die kommerzielle Ausbeutung.

In diesem Sommer etwa untermalen die Noten der Fünften Sinfonie die Werbung einer berühmten italienischen Süßwarenmarke. Oft ist es Beethoven selbst, der als romantischer Rockstar wiederauferstanden ist und als Testimonial sein Gesicht den unterschiedlichsten Produkten verleiht: Klaviere, Hi-Fi-Anlagen, Hörgeräte, Whisky, Waschmittel, Kleidung, Flugreisen … Ein bekanntes österreichisches Unternehmen hat das berühmte „Alle Menschen werden Brüder“ in den Slogan „Alle Menschen werden Flieger“ verwandelt.

Der Komponist kleidet auch Produkte ein oder wird selbst zum Produkt: Er erscheint auf Süßwarenverpackungen, Gläsern, Bierkrügen und auf vielen Weinetiketten, wie der gut gefüllte Weinkeller der Sammlung Carrino dokumentiert. Auch in Souvenirs wurde er verwandelt: Pfeifen, Korkenzieher, Aschenbecher, Seidenkrawatten oder in ungewöhnliche, teils kitschig anmutende Gadgets wie der Beethoven-Räuchermann, der Beethoven-Akrobat oder eine Beethoven’sche Musikflasche.

Es ist die Verklärung eines Mythos!

Im 20. Jahrhundert wurden die Musik und die Figur Beethovens von Demokratien und Diktaturen gleichermaßen für politische und ideologische Zwecke instrumentalisiert.

Beethoven ist überparteilich: Er ist der Musiker, den Lenin am meisten liebt, der von Hitler verehrt wird und sogar Mussolini gefällt. Aber in Frankreich zeichnet man ihn (zusammen mit Goethe) auf einer satirischen Postkarte, wie er den Führer der „Niedertracht“ gegen sein eigenes Volk beschuldigt.

 Am 26. März 1977 wird in Peking eine chinesische Aufführung der Fünften Sinfonie im Radio und Fernsehen übertragen.


Das „V“ von Winston Churchills „Victory“ wird mit dem „V“ der Fünften Sinfonie gleichgestellt, die so zu einer Hymne des Widerstands gegen die Nazi-Invasion wird.  Drei Jahrzehnte später wird das Denkmal des Komponisten in Bonn, das wie durch ein Wunder von den Bombenangriffen des Zweiten Weltkriegs verschont geblieben ist, zu einem Bollwerk der Vietcong-freundlichen Jugendproteste.

Das ganze 20. Jahrhundert hindurch begleitete Beethoven das Bewusstsein oder die Vorahnung dunklerer Zeiten. Gegen Ende des Jahres 1918 zeigte er in der Satirezeitschrift Simplicissum ein trauriges Gesicht angesichts der Verwüstung, die der gerade beendete Krieg auf den Schlachtfeldern hinterließ. Auf einem Plakat für die Beethoven-Woche in Baden 1938 geht der Maestro nachdenklich durch eine angespannte Dämmerung: Österreich ist gerade von den Nazis besetzt worden. In „Ode of Sadness”,„Ode an die Traurigkeit“, einer Postkarte von den Musikalischen Nächten in Sarajevo, schwebt er ernst über den Ruinen der Stadt. Auf Franz Planys Stich, einer Vision der Neunten Sinfonie aus dem Jahr 1944, erscheint ein inspirierter Beethoven, der inmitten der Elemente der Natur über den Flammen der Kriegskatastrophen gigantisch in den Himmel steigt. Der leidenschaftliche Kuss der beiden Liebenden, ein Bild der Liebe und Hoffnung für die Zukunft, ist die große Botschaft, die Beethoven uns mit seinem unsterblichen Meisterwerk hinterlassen hat.

1903 wurde in Paris Beethoven veröffentlicht, das leidenschaftliche Buch von Romain Rolland, das zum Welterfolg wurde. Ganz im Sinne der Botschaft von Franz Planys grafischem Werk ist sein bestechender Anfang hochaktuell: Die Luft ist drückend um uns. Das alte Europa erstickt in einer schwülen und unreinen Atmosphäre. Ein Materialismus ohne Größe drückt auf die Gedanken und durchkreuzt das Handeln von Regierungen und Individuen: Die Welt siecht hin in ihrem klugen und feilen Egoismus. Die Welt erstickt, öffnen wir die Fenster! Lassen wir die freie Luft ein. Atmen wir die Seele der Helden.


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Mineva 200 let, odkar je 7. maja 1824 v dvornem opernem gledališču pri Koroških vratih (Kärntnertortheater) prvič zadonela Beethovnova Deveta simfonija.
Čeprav so prestižno gledališče leta 1870 porušili, sta ta dogodek in veličastna glasbena stvaritev pustila neizbrisen pečat. Z Deveto simfonijo je Beethoven svetu podaril »brezčasen spomenik glasbi« (Gianluigi Mattietti), mojstrovino, ki s svojo izjemno kompleksno strukturo »predstavlja najvišji dosežek sinteze in prenove v celotni zgodovini simfonije«. To umetniško delo velja za prelomni trenutek v zgodovini glasbe, saj predstavlja inovativen odmik od tradicionalnih simfoničnih oblik, kot je vključitev zbora v orkestralno zasedbo s slavno »Odo radosti«, uglasbeno na besedilo nemškega pesnika Friedricha von Schillerja, pozneje pa je bila uradno razglašena za himno Evrope.

Deveta simfonija, ljubljena, a tudi predmet številnih razprav in kritik, je postala svetovna dediščina, ne le zaradi svojih glasbenih vrednot, temveč tudi zaradi svoje etične in filozofske sporočilnosti ter neizmerne energije. Je

potovanje v štirih stavkih, ki vodi iz teme v svetlobo, iz mračnih in nasprotujočih si sil, ki viharijo v posameznikih in družbi k hrepenenju po preseganju bolečin in razkola v objem univerzalnega bratstva. Ta notranja napetost povzdiguje človeštvo kvišku, proti »Schöner Götterfunken«, »Radosti, od boga nam dani«.

Ob podpori Furlanije – Julijske krajine in v sodelovanju z občino Milje nam 200. obletnica Devete simfonije ponuja edinstveno priložnost: družinski muzej Beethovnova knjižnica v Miljah bo na javnem prostoru svojega mesta prvič predstavil dragocene zaklade zbirke Carrino, največje zasebne zbirke v Evropi, posvečene mitu glasbenega genija iz Bonna.

Predstavljeno bo gradivo redke dokumentarne vrednosti in dragocene umetniške kakovosti, ki se začenja z Deveto simfonijo in razkriva Beethovnov svet z različnih zornih kotov, vključno s presenetljivimi povezavami s Trstom. Predvsem pa želi biti razstava poklon Geniju, ki še danes navdihuje evropsko celino in vse človeštvo. Zaradi njegove veličastne in revolucionarne stvaritve. Zaradi poguma in močne volje človeka, ki je bil kljub boleči tišini gluhote zmožen ustvariti vrhunsko glasbeno mojstrovino. Zaradi energije, ki jo še danes izžareva Ludwig van Beethoven: Večni mit, neizčrpen vir umetniške ustvarjalnosti in luč, ki daje upanje.

7. maja 1824 je dunajsko gledališče Kärntnertortheater gostilo veličasten koncert s tremi Beethovnovimi deli. Po uverturi Posvetitev gledališča, napisani leta 1822 za otvoritev prenovljenega gledališča Josefstadt na Dunaju, sta bili na vrsti dve težko pričakovani premieri mojstra iz Bonna, čigar umetniška ustvarjalnost je v zadnjih letih nekoliko upadla. Šlo je za Deveto simfonijo, posvečeno Frideriku Viljemu III. Pruskemu, in za Missa Solemnis, posvečeno nadvojvodi Rudolfu Avstrijskemu, od katere so izvedli le Kyrie, Credo in Agnus Dei (Gloria in Sanctus sta bila zaradi cenzure prepovedana).

Priprave na koncert so bile naporne in hitre, saj so trajale so le en mesec, Beethoven pa je večkrat izrazil svoje razočaranje nad končnim izidom.

Orkester je vodil Michael Umlauf, ob njem pa je stal Ludwig van Beethoven, ki zaradi šibkega zdravja in skoraj popolne gluhote ni mogel samostojno dirigirati. Tenor: Anton Haitzinger. Bas: August Seipelt. Sopran: Henriette Sontag, devetnajstletnica. Mezzosopran: Caroline Unger, dvajsetletnica. Prva violina: Ignaz Schuppanzigh, Beethovnov tesen prijatelj in »deklica za vse«.

Izvedba ni bila na najvišji ravni, ker je bilo za vaje premalo časa, vendar je občinstvo Deveto simfonijo in Missa Solemnis sprejelo z ganjenostjo in navdušenjem, saj je začutilo moč teh dveh novih mojstrovin. Beethoven aplavza ni mogel slišati, videl je lahko le, kako mu ljudje z belimi robci mahajo v poklon. Maestro je imel takrat triinpetdeset let, vendar je deloval zelo izčrpano in postarano.  Primerjava med ikoničnim portretom energičnega Beethovna, ki ga je leta 1820 naslikal Joseph Karl Stieler, ter portretom Johanna Stephana Deckerja, nastalim prav maja 1824, ko je dunajsko gledališče Kärntnertortheater gostilo koncert, ki ga mnogi štejejo za najpomembnejšega v zgodovini glasbe, je neizprosna.

Kompleksnost Devete simfonije omogoča neskončno veliko interpretacij. Pri njeni razlagi pa ne smemo zanemariti razlogov, ki so Beethovna privedli do tega, da ja v četrti stavek vključil »Odo radosti« Friedricha Schillerja. Skladatelja se je nedvomno dotaknil verz »Alle Menschen werden Brüder«, »Vsi ljudje ljudem so bratje«. Tako je namreč Schiller prilagodil bolj politično obarvano različico svoje Ode: »Berači postanejo bratje princem«. To je odmev razsvetljenskih idealov bratstva, ublaženih po krvavih dogodkih francoske revolucije.

Vendar je Deveti simfoniji pomembna predvsem introspektivna pot vzpona, ki posameznika in človeštvo popelje iz nepojmljivega in protislovnega kaosa (1. stavek) čez prizorišče dramatičnega boja (2. stavek) do duhovnega prebujenja (3. stavek). Varni pristan je »Radost« (4. stavek), v katerega zavetje nas vodi notranji glas, ki množice spodbuja, da uprejo pogled onkraj nebesnega svoda: “Brüder, überm Sternenzelt / Muß ein lieber Vater wohnen.”

»Bratje, čez nebo razpet Bog, naš oče, ne zatone!« Zgradba Devete simfonije in njena napetost »über Sternen«, »onkraj zvezd« razkrivata Beethovnovo globoko kulturo. Poznavanje Kantove filozofije, katere maksima »moralni zakon v meni in zvezdnato nebo nad mano« je poudarjena v zvezku, v katerega si je Beethoven beležil teme za pogovore. Skladateljeva strast do novih odkritij v astronomiji, o katerih je hranil pomembna besedila. Njegov Weltanschauung, svetovni nazor, morda navdihnjen s kozmoteizmom, ki sega vse do mitov starega Egipta, kot potrjujejo egipčanske maksime, najdene na njegovi pisalni mizi.

Deveta simfonija je s svojimi številnimi razlagalnimi ključi neizčrpen vir navdiha za vse oblike umetniške izraznosti.
Na začetku 20. stoletja je nastal obsežen grafični opus, posvečen Beethovnovi stvaritvi, z deli, ki izstopajo po tehnični dovršenosti ter simbolni in izrazni moči.

Zelo značilna in v tistem času škandalozna je bila slika nemškega umetnika Aloisa Kolba Ta poljub vsemu svetu, na kateri je univerzalni objem Devete simfonije upodobljen kot izjemno nežen erotični objem, čudovito zlit z divjimi kodri Beethovna, katerega obličje je navdihnjeno z masko Franza Kleina. V svoji »Deveti simfoniji« je Kolb sam ponudil vizionarsko interpretacijo »Ode radosti«: »Z njo kot božje sonce smelo / hodi čez nebesni svod, / pojdi, človek, svojo pot / k zmagi kot junak veselo!«

Avstrijski graver Arthur Paunzen si predstavlja človeštvo, osvobojeno družbenih (in verskih) razlik, kako združeno, kot bratu brat, stoji na skalnatem vrhu in z rokami, dvignjenimi proti nebu, pozdravlja ljubečega Očeta. Vzhajajoče sonce nad morsko gladino simbolizira Dobroto, Svetlobo in Znanje.

Erhard Amadeus Dier je na svojih dveh akvatintah Tu spodaj in Tam zgoraj ujel trenutek prehoda človeštva iz stanja teme in strahu proti Svetlobi ob spremljavi nebeških zvokov harfe.
Umetniško delo iz dvajsetih let prejšnjega stoletja prikazuje dramatično vizijo človeštva, ki hrepeni po odrešilnem poljubu Devete simfonije pod zaščitniškim pogledom Beethovna, ki je upodobljen kot zvezdnato nebo.

Umetniška dela v secesijskem slogu znanega nemškega grafika in ilustratorja Franza Stassena podajajo svojstveno razlago transcendentnega trenutka doseganja višje ravni zavedanja, pri čemer umetnik včasih uporabi simbolno podobo harfe, glasbila z nebeškimi zvoki, včasih pa astronomski motiv zvezdnatega neba, ki ga kot tančico drži lik Prometeja v podobi skladatelja.

Beethovnova ikonografija, še posebej tista, ki je povezana z Deveto simfonijo, pogosto prikazuje skladateljevo obličje, ki lebdi na nebu, ustvarjalca, ki izžareva energijo v »sveti« sferi, ki presega fizične meje, kot je prikazano na sliki Fritza Kaiserja, nastali leta 1927 ob stoti obletnici njegove smrti.

A h krepitvi tega mita je pripomogel tudi Beethoven sam. V pismu prijatelju Franzu von Brunswicku, datiranem 13. februarja 1814, piše: »Kar zadeva mene, o nebesa, moje kraljestvo lebdi v zraku (…) Kot veter, ki pogosto ustvarja vrtince, se vrtinčijo tudi harmonije, in enako pogosto se vrtinči tudi vsa moja duša.«

To so besede modernega umetnika, že romantika, navdihnjenega z naravo v njenem kozmičnem raztezanju. Izdelovalec harf in klavirjev Johann Andreas Stumpff je izpričal, da mu je Beethoven leta 1824 tako opisal svoj »Blick nach oben«, svoj »pogled navzgor«: 

»Ko ponoči zrem v čudoviti nebesni svod in množico svetlečih teles, ki jim pravimo svetovi in sonca in ki se večno vrtijo znotraj njegovih meja, se moj duhovni jaz dvigne onkraj teh zvezd, na milijone milj daleč, vse do vira, iz katerega izvira vse, kar je bilo ustvarjenega, in iz katerega bo izviralo vse, kar bo novega ustvarjeno.« 

V svojem idealizmu se Beethoven težko sooča z neizprosnimi tržnimi pravili, kot zaupa v

pismu z zelo aktualno vsebino iz 15. januarja 1801 založniku Franzu Antonu Hoffmeisterju v Leipzigu: »Želel bi si, da bi bilo na tem svetu drugače. Na vsem svetu bi morala obstajati le ena umetniška trgovina, kjer bi umetnik preprosto oddal svoje mojstrovine in si v zameno izbral tisto, kar potrebuje. Namesto tega pa moramo biti napol trgovci in le kako naj se znajdemo, moj Bog, to jaz imenujem odvratno.«

Februarja 1824 je bila partitura Devete simfonije dokončana. Beethoven jo je že dve leti vztrajno in intenzivno predeloval. Od prvih osnutkov je minilo vsaj osem let. A pričevanja o tem, da je Beethoven delal na Schillerjevi »Odi radosti«, segajo že v leto 1798 (Katalog Biamonti, št. 189). Še pred tem pa je pravnik Bartholomäus Fischenich, Schillerjev prijatelj, v pismu iz 26. januarja 1793, naslovljenem na pesnikovo hčerko Charlotte von Schiller, takole omenil skladateljeve namene: »Prilagam skladbo Feuerfarbe in srčno rad bi slišal vaše mnenje o njej. Njen avtor je mladi domačin [Beethoven], katerega glasbeni talent hvalijo prav vsi in ki ga je volilni knez zdaj poslal na Dunaj k Haydnu. Ukvarjal se bo tudi z uglasbitvijo Schillerjeve Freude torej z vsemi kiticami. Pričakujem, da bo nastalo nekaj popolnega, saj, kolikor ga poznam, je popolnoma predan veličastnemu in vzvišenemu.«
Ta dolga geneza, prežeta s kulturo in meditacijo, ter skrb, posvečena osnutkom, ki so spremljali rast glasbene umetnine, »ovržejo romantično predstavo o geniju, ki ustvarja izključno v izbruhih umetniškega navdiha. Beethoven uteleša resnico, da velika umetnost ni podarjena, temveč sad trdega dela.« (Robert Winter).

Potrpežljivost, vztrajnost, globina, izražene na različne načine, ki pa jih vodi ista strast, so ključne tudi za prizadevanja zbirateljev, da vsako pravo zbirko spremenijo v pravcato vesolje z nenehno rastočimi razsežnostmi perspektiv, podrobnosti in povezav, v katerih je mogoče vsak dan odkriti nekaj novega, nekaj zanimivega.

»Graditi zbirko pomeni predvsem razvijati umetnost poglobljenega opazovanja, ki presega rutinsko in mehansko navado gledanja«.
Sergio Carrino

150 slik in kipov, 800 umetniških grafik, 250 predmetov uporabne umetnosti, 4500 publikacij v glasbeni in zgodovinsko-bibliografski knjižnici, 550 medalj in kovancev, 450 ekslibrisov2700 razglednic, 400 sličic, 1750 poštnih znamk, in še reklame, kič turističnih spominkov, vina, sladice in začimbe.

Zbirka družine Carrino se nahaja v Muzejski hiši Beethovnova knjižnica v Miljah: v približno desetih prostorih je shranjenih 11.500 predmetov, urejenih v 12 zbirkah. Je plod raziskav, ki segajo v leto 1971. Sprva se je z njimi ukvarjal Sergio Carrino, nato njegova soproga Giuliana, že dolgo pa tudi sin Ludovico. Iz te strasti je zrasla največja zasebna zbirka v Evropi, posvečena Ludwigu van Beethovnu in njegovemu mitu, ki sobiva v hiši, v kateri družinsko življenje nemoteno teče svojo vsakdanjo pot.

Zbirka družine Carrino, ki je bila predstavljena na številnih razstavah o Beethovnu in glasbi v Bonnu, Parizu, Badnu in Rovigu, je po besedah Malteja Boeckerja, generalnega direktorja Beethovnove hiše v Bonnu: »… brez dvoma najzanimivejša zbirka na temo dojemanja in vpliva Beethovnove glasbe in osebnosti od 19. stoletja do danes.«

Michael Ladenburger, ki je trideset let vodil muzej Beethoven-Haus v Bonnu, je dejal: »Zbirka Carrino v Miljah je po usmerjenosti, obsegu in pestrosti edinstvena v svetovnem merilu … Obiskovalca prevzame tako čustveno kot estetsko iz vedno novih in presenetljivih zornih kotov.«  Koncept učenja opazovanja še posebej velja za zbirki medalj in ekslibrisov: le pozoren pogled odkrije tiste čudovite podrobnosti, ki te majhne umetnine spreminjajo v dragocene mojstrovine.

FOKUS 1. MEDALJE Medalje, plakete in kovanci so pogosto spregledani kot manjši umetniški dosežek zaradi svoje majhnosti in komemorativne narave. Z več kot 550 primerki na temo Beethovna pa zbirka Carrino razblinja ta predsodek, saj nas popelje v svet, v katerem na izjemno majhnem prostoru z združitvijo formalne lepote, kiparske tehnike, tehnologije materialov in dovršene izvedbe nastajajo pravcate miniaturne mojstrovine.

Med primerki, ki so predstavljali največji izziv naši zmožnosti opazovanja, smo izbrali medaljo iz leta 1908, izdelano iz posrebrenega brona, avtorja Alfreda Rothbergerja (1837 – 1932).

Na sprednji strani je upodobljen impozanten Beethovnov portret. 

Na hrbtni strani je razburkano morje v nevihti pod težkim oblačnim nebom. Ta miniaturni prizor plastično uteleša čustva, ki jih vzbuja Beethovnova glasba, in razkriva skladateljevo nrav. Šele po številnih ogledih smo opazili drobceno strelo, ki je zarezala v pokrajino in povezala oba elementa. Navdušenje zbirateljev ob tovrstnih odkritjih nikoli ne pojenja.  

FOKUS 2. EKSLIBRISI
Z več kot 450 primerki je zbirka ekslibrisov na temo Beethovna v zbirki Carrino zagotovo najpomembnejša na svetu. Ekslibris oziroma ex libris (iz latinščine »iz knjig [ime lastnika]«) že več kot pet stoletij spremlja zvezke ljubiteljev knjig: gre za majhno oznako z imenom lastnika knjižne zbirke, ki jo slednji prilepi na notranjo stran zadnje platnice, da označi lastništvo knjige. Sprva je bilo tovrstno označevanje omejeno na plemiške, samostanske in univerzitetne knjižnice. V obdobju razcveta grafičnih umetnosti na prehodu med 19. in 20. stoletjem pa se je navada razširila tudi med meščanstvom, kar je privedlo do tega, da so ekslibrise naročali pri najbolj uglednih grafikih tistega časa, ki so ustvarili številna izjemna umetniška dela.

Ekslibris za baronico Caroline von Dalberg, izvirno gravuro v bakru, je leta 1910 izdelal avstrijski umetnik Alfred Cossmann (1870–1951). Morda je to najlepši ekslibris, ki je bil kdaj izdelan na temo Beethovna. Pod povečavo lahko občudujemo filigransko natančnost in bogastvo potez te miniaturne grafične mojstrovine.

Deveta simfonija je tehnični in umetniški izziv, ki predstavlja vrhunec ustvarjalnosti za največje dirigente orkestra. Tukaj je izvirni plakat za njeno izvedbo v milanski Scali 28. maja 1949 pod taktirko Wilhelma Furtwänglerja, ki velja za najpomembnejšega dirigenta Beethovnove glasbe vseh časov.

Vendar pa sta vpliv in priljubljenost Devete simfonije presegla razsežnost glasbe: postala je celo filmska glasba – popačena in pospešena – v kultnem filmu Peklenska pomaranča režiserja Stanleya Kubricka, ter terapevtsko orodje za njegovega mladega protagonista, »čigar interesi vključujejo posilstvo, ultra-nasilje in Beethovna«. V usodo mita sodi tudi njegovo groteskno ali humoristično izkrivljanje. Nazoren primer je tragikomična karikatura v dunajskem časopisu, ki je ob stoletnici premiere Devete simfonije upodobila nesrečnega Beethovna, ki se spopada z novostmi v letu 1924, ko se na primer znajde v neprijetnem položaju v kavarni s kabaretom, café chantant, ali se duši v cigaretnem dimu na odru operete.

Med letoma 1807 in 1808 je Beethoven uglasbil Šesto simfonijo, znano kot Pastoralna.
Še nikoli poprej ni narava tako globoko vstopila v glasbo kot ob tej priložnosti, ko jo je skladatelj skozi svojo senzibilnost skoraj v celoti poustvaril kot odsev božanskega, reda in lepote vesolja.

Slika slavnega avstrijskega slikarja Rudolfa Alfreda Högerja je ujela Beethovna med sprehodom ob potoku v bližini Heiligenstadta, nedaleč od Dunaja, prav tam, kjer je komponiral Pastoralno simfonijo.Zatopljen v svoje glasbene misli se zdi, da ni opazil gruče ljudi, ki se pogovarjajo o njem, njegovi ekscentričnosti in njegovemu glasnemu samogovoru.

Gre za eno izmed mnogih del v zbirki Carrino, ki prikazujejo Beethovna na njegovih znamenitih meditativnih sprehodih po dunajskem podeželju in ponujajo vpogled v evropsko umetnost med 19. in 20. stoletjem: od romantike do impresionizma in jugendstila. Včasih se zdi Beethoven skoraj preobražen, ko se upira silovitemu vetru in elementom narave; spet drugič je upodobljen prizanesljivo in spoštljivo, kot na razpoloženjski sliki Maximiliana Spilhaczeka, kjer ga lahko bežno opazimo blizu njegove podeželske hiše v Heiligenstadtu, ki žari v ozkem snopu sončnih žarkov: svetlobe, ki zvečer ugasne in vsako jutro ponovno zažari še svetleje, kar simbolizira duhovno rast in večnost.   

Za Beethovna je narava mati, po kateri hrepeni, je vir resnice in spoznanja, je zakladnica moralnih vrednot človeštva. Njena lepota, ki vzbuja občudovanje, je sublimirana s skladateljevo panteistično vizijo, o čemer pričajo njegove besede v Fischoffovem rokopisu: »Vsemogočni bog, v gozdu! V gozdu sem blažen, srečen. Vsako drevo govori o Tebi. Kakšen sijaj, o Gospod! V teh dolinah, v višavah je mir, mir, da Ti služim.«

Beethovnov globok in čuteč odnos do narave dobro ponazarja znamenita anekdota njegovega učenca in glasbenika Ferdinanda Riesa (Notizen, 1838, str. 99):

»Med sprehodom po gozdu sva se izgubila, zato sva se v Döbling, kjer je takrat živel Beethoven, vrnila šele okoli osmih zvečer. Med potjo je ves čas godrnjal in občasno zavpil ter pri tem nenehno spreminjal glas iz visokih v nizke tone. Ko sem ga vprašal, za kaj gre, je odgovoril: »Domislil sem se motiva za zadnji allegro sonate (opus št. 57, Appassionata). Ko se je vrnil domov, je takoj, ne da bi snel klobuk, stekel h klavirju. Sam sem ostal v kotu, on pa je kmalu pozabil name; vsaj eno uro je nepretrgoma preigraval nov čudovit finale te sonate. Končno se je dvignil, se začudil, ko me je še vedno videl tam, in rekel: »Danes vam ne morem dati lekcije, moram še delati.««

Da je narava vir navdiha, je spoznal tudi sam Beethoven. Tukaj je odgovor mlademu glasbeniku Louisu Schlösserju, ki ga je leta 1823 povprašal, katero metodo skladanja uporablja: »Od kod črpam zamisli? (…) Lahko bi jih skorajda zajel z rokami, na prostem, sredi gozda, med sprehodom, v nočni tišini, ob zori, kadar jih vzbudijo različna razpoloženja: tista, ki se pri pesniku pretvorijo v verze, pri meni pa v zvoke, ki odzvanjajo, rjovejo, vihrajo in vrtinčijo, dokler se na neki točki ne postavijo pred mene v obliki not.

Vpliv Beethovna – človeka, genija, mita – na evropsko kulturo in umetnost je izjemen. Njegov obraz, eden najbolj prepoznavnih v zgodovini človeštva, je bil in ostaja navdih za neštete umetniške upodobitve.  V dokaz tej umetniški plodnosti predstavljamo vrsto doprsnih kipov skladatelja, ki zajemajo eno stoletje in šest evropskih držav, ter razkrivajo »poučno« zaporedje kiparskih slogov in tehnik.

Doprsje iz druge polovice 19. stoletja nemškega kiparja Huga Hagena razkriva klasični romantični okus meščanskih salonov tistega časa.

Kip iz večbarvne keramike francoskega kiparja Alberta Dominquea Roséa iz leta 1897 spominja na obdobje velikih umetniških delavnic, kot je bila znamenita dunajska umetniška delavnica Goldscheider, v kateri je nastal.

Doprsni kip iz patiniranega mavca madžarskega umetnika Edeja Telcsa, na prehodu med secesijo in art décojem, predstavlja pomembno zgodovinsko pričevanje, saj je bil razstavljen na svetovni razstavi v Milanu leta 1906.

Bronasto doprsje švicarske umetnice Adele Schallenmüller je navdihnil spomenik Petra Breuerja, postavljen v Bonnu leta 1910, ki so ga pozneje poimenovali »spomenik večnosti«; Beethoven je na njem upodobljen kot gigantski bog.

Bronast doprsni kip plodovitega umetnika Marijana Kockovića je edino hrvaško delo, posvečeno Beethovnu in izstopa po svoji surovi izrazni moči. Kip v realističnem, a nekonvencionalnem slogu se osredotoča na geometrijske oblike in teksturo iz sedemdesetih let prejšnjega stoletja.

Kocković je bil Titov najljubši umetnik in je zanj v sedemdesetih letih na Brionih izklesal tudi velik častni kip.

Italijo predstavlja nenavaden kos umetniškega dizajna: svetilka Beethoven iz stisnjene matirane bele plastike, izdelana v Milanu skoraj zagotovo leta 1970 ob dvestoletnici skladateljevega rojstva. Šest različnih pogledov Starega kontinenta na Beethovnov obraz, ki poudarjajo večplastno moč privlačnosti avtorja Evropske himne.

Zbirka Carrino hrani med svojimi dragocenimi zakladi tudi portretno masko Beethovna, enega prvih bronastih odlitkov, narejenih po (zdaj izgubljenem) originalnem mavčnem kalupu obraza, ki ga je leta 1812 na Dunaju izdelal Franz Klein.
Za razliko od drugih znanih kopij se ta maska ponaša z naravnost realističnimi podrobnostmi: še vedno so vidne brazgotine ošpic, za katerimi je Beethoven zbolel v Bonnu, ter sledi spojev različnih delov, s katerimi je bil prvotni kalup obnovljen po tem, ko se je nepotrpežljivi skladatelj zaradi nelagodja med nanašanjem mokrega mavca neposredno na njegov obraz premikal. 

To je pravi obraz Beethovna, katerega idealizirana podoba je v dveh stoletjih prerasla v mit. V čudoviti bronasti skulpturi belgijskega umetnika Victorja Rousseauja, imenovanega »kipar duš«, se na obrazu velikana glasbe zrcali celo Apolon, bog lepote in glasbe, ki opazuje njegovo znamenito masko. Beethoven je prestopil prag Olimpa!

Z umetniško interpretacijo, pripravljeno za pariško razstavo Le Mythe Beethoven leta 2016, odpiramo povorko mask, nastalih po navdihu portretne maske Franza Kleina iz leta 1812. To je le droben izsek obsežne produkcije, ki sega od 19. stoletja do danes. 

Prve primerke zaznamuje estetika realizma, poznejše maske pa krasi lovorov venec, ki plemenito obdaja glavo. 

Dvajseto stoletje je s seboj prineslo nove umetniške svoboščine ter s tem tudi prelom tradicionalnih vzorcev. Posebej zanimiva je maska avstrijskega kiparja Franza Theodora Zeleznyja iz prvega desetletja 20. stoletja, ki drzno krši dve ustaljeni predstavi o Beethovnu, saj prikazuje maestra z bujno in razmršeno pričesko, nasmejanega in z odprtimi očmi.

Med izbranimi deli izstopata dve maski zaradi svoje izrazne moči: maska iz terakote, nastale leta 1933 izpod rok kiparja G. Muzzine, katere obrazne poteze izražajo močno čustveno napetost in divjo življenjsko silo, ter maska iz glazirane in pozlačene keramike kiparja Enrica Mazzolanija in keramika Pietra Melandrija iz leta 1935. Skozi dve odprtini za oči lahko pogledamo v globino njegove duše. Ta umetniški izraz silovitega ekspresionizma vzbuja občutek vznemirljive, skoraj strašljive umirjenosti.  Portretna maska Beethovna se pojavi tudi v tihožitju avstrijskega slikarja Johanna (Jana) Havlicka »Trentana«.  Na sliki umetnika Maxa Sieberja iz leta 1913 pa zaživi kot nesnovna posvečena vizija na nevihtnem nebu, pred katero se gola moška in ženska figura, ki simbolizirata celotno človeštvo, ponižno poklonita razodetju. 

Težko je dojeti veličino Beethovna, če ne upoštevamo tragedije njegove gluhote. Beethoven ob rojstvu ni bil gluh. Rodil se je z »absolutnim posluhom«. Njegova intonacija je bila popolna. Bil je virtuozen pianist, nadarjen za improvizacijo. Bil je tudi zelo družaben in se je rad razvedril v družbi. 

Izguba sluha se je začela kazati okoli 25. leta starosti in je neizprosno napredovala. Med 6. in 10. oktobrom 1802 je napisal slavni “Heiligenstadtski testament”, v katerem je izlil svojo dušo in razkril, da je njegovo »puščavništvo« posledica izgube sluha.

V pismu baronu Ignazu von Gleichensteinu iz junija 1810 je stoično poudaril

potrebo po ustvarjanju notranjega sveta, ki bi nadomestil njegovo osamo:

»Zate, ubogi Beethoven, ne more priti nobena sreča od zunaj, vse si moraš ustvariti sam v sebi … samo v idealnem svetu boš našel prijatelje.«

Leta 1813 je začel uporabljati slušni rog, ki ga tukaj prvič predstavljamo javnosti. Leta 1818 se je sprijaznil s tem, da je komuniciral s pomočjo znamenitih Zvezkov za pogovore, v katere so sodelujoči v pogovoru zapisovali svoja vprašanja in odgovore: iz teh zapisov lahko Beethovnove misli izluščimo »v negativu«, skozi besede njegovih sogovornikov. 

Njegova nesrečna zgodba je navdihnila tudi gledališče: drama, ki jo je v Londonu uprizoril Sir Herbert Tree Beerbohm, doseže svoj vrhunec, ko se maestro obupano zave, da ne sliši več glasbil v orkestru, kot je dobro opisano v reviji The Graphic iz 27. novembra 1909. Tudi Beethovnova ušesa so postala osrednja tema številnih ikonografskih upodobitev: včasih so roke krutega demona, spet drugič trni, kot na čudoviti umetniški naslovnici, ki jo je ilustriral oblikovalec Gio Ponti za knjigo La sordità di Beethoven (Beethovnova gluhota) otologa Guglielma Bilancionija iz leta 1921.

Heiligenstadtska oporoka je Beethovnov rokopis, napisan med 6. in 10. oktobrom 1802, ki je bil v mislih naslovljen na njegova brata Carla in Johanna, a ni bil nikoli poslan. Dokument so našli šele po njegovi smrti v Schwarzspanierhausu, skladateljevem zadnjem domu in predstavlja najbolj boleče pričevanje o drami njegove gluhote. Navajamo nekaj odlomkov iz njega: Rokopis je najbolj boleče pričevanje o tragediji njegove gluhote. Navajamo nekaj odlomkov iz njega:

»O človeka, ki me imata za sovražnega, trmastega in ljudomrznika ali pa me za takega razglašata, kakšno krivico mi delata, saj ne poznata skrivnega vzroka tistega, kar se vama le zdi. Moje srce in moj duh sta bila od otroških let za nežno čustvo dobrohotnosti. Vedno sem bil pripravljen narediti kaj velikega, toda pomislita vendar, da me je pred šestimi leti popadlo neozdravljivo stanje, ki so ga nespametni zdravniki poslabšali.« (…)

» (…) čeprav sem se rodil z ognjevitim, živahnim temperamentom in bil dojemljiv za razvedrila v družbi, sem se moral zgodaj umakniti in živeti osamljen. Če sem hotel kdaj preko tega, o kako grdo me je potisnila nazaj dvakrat žalostna usoda mojega slabega sluha; in vendar nisem mogel reči ljudem: Govorite glasneje, vpijte, jaz sem gluh! « (…)

Simbol Beethovnove knjižnice je bronasti doprsni kip velikana glasbe, katerega avtor je Marcello Mascherini (Videm, 1906 – Padova, 1983). Mascherini, furlanskega rodu, je bil po duši Tržačan, saj je od 13. leta starosti živel v Trstu. Bil je priznan in mednarodno uveljavljen kipar in scenograf. V svoji dolgoletni karieri je prejel številne nagrade in priznanja, leto pred smrtjo pa mu je mesto Trst podelilo častno nagrado zlati sv. Just.

Doprsje je bilo predstavljeno leta 1925 na drugem Bienalu Tržaškega umetniškega krožka (Circolo Artistico). Ta Mascherinijeva mladostna mojstrovina nosi pečat močne osebnosti. Izrazite obrazne poteze in široko, odprto čelo, poudarjeno z izrazitimi loki obrvi, upodabljajo Beethovna, ki žari od moči in neomajne volje. Spodnji del obraza s stisnjenimi ustnicami in čeljustjo spominja na portretno masko Franza Kleina iz leta 1812. Napete mišice na širokem in močnem vratu izražajo ponosno podobo neuklonljivega borca. Skozi izrazito monumentalnost svojega dela nas tržaški umetnik povabi na intimno srečanje z dostojanstvom bolečine, ki je neločljivo povezana z življenjem.

V enem od Zvezkov za pogovore se razkrije želja skladatelja in gurmana, da bi »enkrat odšel na izlet v Trst in Benetke, da bi okusil ostrige.« V drugem zvezku pa izrazi navdušenje nad svojim najljubšim vinom, furlanskim Picolitom.
V resnici Beethoven ni nikoli obiskal Trsta. In tudi morja ni nikoli videl.

Kljub temu pa je Trst tesno povezan z Beethovnovim življenjem. V palači Stare Carinarnice, ki so jo porušili leta 1840, da bi na tem mestu zgradili gledališče Tergesteo, je med letoma 1796 in 1800 prebivala Giulietta Guicciardi. Njen oče, grof Francesco Guicciardi di Cervarolo, je imel takrat v Trstu pomembne vladne zadolžitve. Ko je leta 1800 prispela na Dunaj, je šestnajstletna tržaška »gospodična grofična« Giulietta postala Beethovnova učenka. Skladatelj ji je posvetil slovito sonato, kasneje poimenovano »Mesečeva sonata«. Prijatelju Wegelerju jo je opisal kot »očarljivo dekle, ki me ljubi in ki jo ljubim tudi jaz,« vendar z grenkim zavedanjem, da gre ljubezen, ki je zaradi takrat nepremostljivih družbenih razlik neuresničljiva. 

Na koncu tržaškega mestnega nabrežja nas vila Economo Gossleth spomni na še eno osebnost, povezano z Beethovnom: Gerharda von Breuninga, mladega skladateljevega prijatelja in zaupnika, ki je mu stal ob strani v njegovih zadnjih dneh in mu posvetil il svojo znamenito knjigo spominov.

Breuning je kasneje postal zdravnik in se preselil v Trst, kjer je slovel kot specialist za zdravljenje okončin. Tam je spoznal in se poročil z Giuseppino, hčerko tržaškega industrialca Franza Gossletha, zato je postal pogost obiskovalec neoklasicistične vile na Largo Promontoriu in v Trstu (na podlagi zgodovinskih raziskav Carla de Incontrere).  

A najbolj izjemen lik, ki povezuje Beethovna s Trstom, je njegov najslavnejši življenjepisec, Američan Alexander Wheelock Thayer.

Novinar, muzikolog in diplomat Alexander Wheelock Thayer (South Natick, Massachusetts, 1817 – Trst, 1897) je avtor petih zvezkov obsežne biografije z naslovom Ludwig van Beethoven’s Leben (Življenje Ludwiga van Beethovna). Zadnja dva zvezka sta izšla po njegovi smrti, na podlagi njegovih zapiskov pa sta ju priredila Nemca Hermann Deiters in Hugo Riemann. Zaradi izjemne raziskovalne natančnosti in poročevalske doslednosti velja to delo za najpomembnejši in najbolj verodostojen popis življenja nemškega skladatelja.

Glavnina te obsežne biografije je bila napisana v Trstu, kjer je bil Thayer leta 1865 imenovan za konzula Združenih držav Amerike za pristanišče Trst in za vsa ostala jadranska pristanišča, ki so pripadala Avstrijskemu cesarstvu, vključno s pristanišči Kraljevine Lombardija-Benečija, kot priča faksimile njegovega imenovanja.

Thayer je ostal v Trstu več kot tri desetletja, vse do svoje smrti, in sicer v vili Ralli na Rivi Grumula. V prijetnem vzdušju mesta, tesno povezanega z Dunajem in srednjeevropskim prostorom, se je lahko z neomajno beethovensko vztrajnostjo posvetil svojemu obsežnemu in podrobnemu projektu. Njegov grob, ki so ga ponovno odkrili zahvaljujoč vnemi tržaškega zgodovinarja Oscarja de Incontrere, se nahaja na evangeličanskem pokopališču v Trstu. Zgodba o Thayerju in Trstu je navdihnila tudi muzikologa Carla de Incontreto, ki je leta 1986 objavil pomemben esej Beethoven a Trieste (Beethoven v Trstu).

Beethoven je imel in še vedno ima velik vpliv na umetniški živelj v Trstu ter na širšem deželnem in srednjeevropskem prostoru, povezanem z mestom.

Giuseppe Pogna, tržaški krajinski slikar, je Beethovnu v osemdesetih letih 19. stoletja posvetil čudovit portret v romantičnem slogu, ki je bil do sedaj neznan in ga ob tej priložnosti prvič predstavljamo javnosti. Pogna je naslikal tudi portret Giuseppeja Garibaldija iz leta 1893, ki je shranjen v tržaškem Mestnem muzeju Risorgimenta.

Avstrijski kipar Franz Seifert, ki je deloval na Dunaju in v Trstu, je oblikoval bronasti kip z Beethovnovim obličjem v visokem reliefu na kamnitem spominskem kamnu, nad katerim se dviga grška muza glasbe Evterpa, ki s svojo lepoto simbolizira vzvišeno umetnost velikana glasbe. Seifert je tudi avtor velikega spomenika cesarici Sisi na Trgu svobode v Trstu, ki so ga svečano odkrili leta 1912.

V tančico skrivnosti je ovita slika iz leta 1912 večkrat nagrajenega avstrijskega slikarja Gottlieba Theodora von Kempa, katerega dela danes krasijo zbirke Dunajskega in Britanskega muzeja.

Na sliki očarljiva ženska figura stoji ob svojem najljubšem skladatelju in mu v poklon prinaša cvetje. Morje in nebo s temnimi in svetlimi oblaki v ozadju simbolizirajo moč narave v Beethovnovi glasbi. Pokrajina spominja na skalnato devinsko obalo, ki jo je umetnik verjetno obiskal na svojih potovanjih v družbi slikarja Auchentallerja, stalnega obiskovalca Gradeža. Od Devina do Milj je le streljaj. Goriški slikar in grafik Franco Dugo nam predstavlja sodobnega Beethovna, ki je končno našel svoj mir počiva na obali Jadrana. V daljavi se dviguje v nebo beli obelisk na Tankem rtiču (Punta Sottile) ob slikoviti miljski obali. Slikarsko delo iz leta 2021 je poklon muzejski hiši Beethovnova knjižnica.

Zdi se, kot da slika W. Steffensa iz leta 1912, ki upodablja razburkano morje in svinčeno sive nevihtne oblake, napoveduje tragično in skrivnostno usodo jadrnice “Beethoven”. Jadrnico, ki je bila zgrajena v Angliji leta 1904, je najprej kupila nemška ladjarska družba, ki jo je nato leta 1910 prodala norveškim ladjarjem. Leta 1913 je priplula v Trst, kjer jo je kupil tržaški Navtični institut in jo preuredil tudi v šolsko ladjo.

Na svoji prvi plovbi iz Avstralije v Čile je »Beethoven« v prvih mesecih leta 1914 skrivnostno izginila v Tihem oceanu, s seboj pa odnesla številne mlade kadete iz Trsta, Istre, Furlanije in Avstrije.

Po naključju ali morda kot znak usode smo leta 2014, natanko sto let po nesreči, po številnih iskanjih uspeli najti edino originalno oljno sliko, ki upodablja protagonista te zgodbe, ki je pustila neizbrisen pečat v zgodovini in spominu našega mesta.

Poštne znamke, razglednice, sličice, ki pripovedujejo o skladatelju odraslim in otrokom, plakati, ki govorijo o Beethovnu (ali skozi njega) z nasmehom, »ikone«, ki slavijo velikana glasbe, Maestra. Beethoven je popularni in medijski fenomen, ljubljen med množicami.

To potrjujejo tudi številke: v filatelistični zbirki so prisotne vse poštne znamke, filatelistični žigi in drugo gradivo na temo Beethovna, ki so bile od leta 1889 do danes izdane v več kot 70 državah sveta. Edina izjema je Italija, kar je več kot nenavadno, saj skladatelju ni nikoli posvetila niti ene poštne znamke!

Zbirka obsega tudi več kot 2500 razglednic, večinoma iz tako imenovanega »zlatega veka razglednic«: slovite »Gruß Aus» (»Pozdravi iz …«), izdelane v času od leta 1890 do začetka prve svetovne vojne in natisnjene v tehniki barvne litografije ali kromolitografije, pri kateri je bilo treba nanesti kar do 12 slojev barve! Številne so bile poslane in pripovedujejo nostalgične zgodbe o prijateljstvih in ljubeznih.

In še živopisne sličice, ki so od konca 19. stoletja do danes med otroki in odraslimi sprožile pravcato zbirateljsko mrzlico, hkrati pa so drobcena zakladnica zanimivosti in kulture.

A Beethoven je tudi velik kulturni fenomen , ki nenehno navdihuje pisatelje, učenjake, znanstvenike in seveda glasbenike. Knjižnica zbirke Carrino obsega več kot dvesto let publikacij o Beethovnu, izdanih od konca 18. stoletja do danes, in vključuje več kot 4500 enot, med katerimi so knjige, posvečene njegovemu življenju in delu, partiture, različni eseji, faksimili izdaj, revije, časopisi in časniki iz vsega sveta in še mnogo več.

V preteklosti, še bolj pa danes, je komercialni izkoristek odličen pokazatelj priljubljenosti.

Prav to poletje spremljajo note Pete simfonije reklamna sporočila znanega italijanskega proizvajalca sladic. Pogosto je sam Beethoven, oživljen kot romantična zvezda rocka, tisti, ki oglašuje najrazličnejše izdelke ali storitve: klavirje, hi-fi naprave, slušne aparate, viski, čistilna sredstva, oblačila, letalske prevoze … Znano avstrijsko podjetje je znameniti verz »Alle Menschen werden Brüder”», »Vsi ljudje ljudem so bratje«, dobesedno pa »Vsi ljudje postanejo bratje«, spremenila v slogan »Alle Menschen werden Flieger«, »Vsi ljudje postanejo letalci«.

Skladatelj krasi izdelke ali postane celo sam izdelek: kot zaščitni znak se pojavlja na embalaži sladkarij, na kozarcih, pivskih vrčih in številnih etiketah vin, kot priča bogato založena vinska klet zbirke Carrino. Lahko se spremeni tudi v spominek: pipe, odpirači za steklenice, pepelniki, svilene kravate ali bizarni kičasti predmeti, kot so Beethoven – kadilec ali Beethoven – akrobat ali celo pojoča steklenica v obliki Beethovna. Pravcati vrhunec kulta osebnosti!

V dvajsetem stoletju so Beethovnovo glasbo in osebnost v politične in ideološke namene izkoristile tako demokracije kot diktature.

Beethoven presega strankarske in politične meje: bil je najljubši skladatelj Lenina, poklonil se mu je Hitler, všeč je bil tudi Mussoliniju. V Franciji pa so ga skupaj z Goethejem zlorabili, da so lahko

Führerja obtožili »zlih dejanj« zoper lastni narod. V Kitajski je bil dokončno sprejet, ko so 26. marca 1977 v Pekingu po radiu in televiziji prvič predvajali kitajsko izvedbo Pete simfonije.

»V« za »Victory« (zmago) Winstona Churchilla povezujejo s številko »V« iz Pete simfonije, ki je tako postala himna odpora proti nacistični zasedbi.  Tri desetletja kasneje bo Beethovnov spomenik v Bonnu, ki je med bombardiranji v drugi svetovni vojni čudežno ostal nedotaknjen, postal simbol mladinskih protestacij v podporo Vietkongu.

V 20. stoletju je bil Beethoven prisoten v kolektivnem zavedanju ali slutnji najtemnejših trenutkov. Konec leta 1918 je na naslovnici satirične revije Simplicissum njegovo obličje žalostno zrlo na opustošenje, ki ga je pustila pravkar končana vojna na bojiščih. Leta 1938, kmalu po tem, ko je Avstrijo zasedla nacistična Nemčija, se na plakatu Beethovnovega tedna v Badnu skladatelj globoko zamišljen sprehaja v tesnobnem somraku. Na »Ode of Sadness«, »Odi žalosti«, razglednici z Glasbenih noči v Sarajevu, njegova stroga in očitajoča pojava lebdi nad ruševinami mesta. V grafiki Franza Planyja, viziji Devete simfonije iz leta 1944, se Beethoven pojavi kot velikanska figura na nebu, obdana z elementi narave, nad ognjenimi zublji vojne katastrofe. Strasten poljub dveh ljubimcev, simbol ljubezni in upanja v prihodnost, je veliko umetniško sporočilo, ki nam ga je Beethoven zapustil s svojo brezčasno mojstrovino.

Leta 1903 je v Parizu izšla knjiga Beethovnovo življenje, strasten roman Romaina Rollanda, ki je kmalu postal svetovna uspešnica. Njegov osupljiv in prodoren začetek, ki se odlično ujema s sporočilnostjo grafik Franza Planyja, je še danes aktualen: »Okoli nas je dušljiv zrak. Stara Evropa dreveni v težkem in pokvarjenem ozračju. Pritlikav materializem obtežuje misel in hromi dejavnost vlad in posameznikov. Svet umira, zadušil se bo v svoji previdni in nizkotni sebičnosti. Odprimo okna! Naj nas zopet osveži svoboden zrak! Vdihujmo zrak junakov!